Le storie dei vini diventano speciali quando si intrecciano a quelle delle persone. Amineh Pakravan era una giovane e colta ragazza iraniana che studiava a Parigi. Nel 1966 sa dell'alluvione di Firenze e si precipita nella città toscana per diventare uno degli angeli del fango. Qui conosce Enzo Papi, uno studente universitario che è lì per lo stesso motivo. Si innamorano, si sposano, comprano un casale dove fare del vino. L'azienda Pakravan Papi è all'inizio delle colline che contornano la Maremma settentrionale. Siamo a Riparbella in ottanta ettari di vigneti, uliveti e macchia meditarranea. I confini non sono netti, la natura addomesticata dall'uomo convive benissimo con il lato più selvatico, creando un ambiente incontaminato di grande effetto. I richiami di Bolgheri sono vicinissimi, ma siamo fuori dalla Doc. La scelta delle uve è stata la più libera e personale possibile: sì Cabernet Sauvignon, Franc e Merlot ma anche Sangiovese, no al Vermentino, sì invece alla Malvasia e al Riesling, oltre allo Chardonnay. Noi ci soffermiamo sul Gabbriccio, tutto Sangiovese piccolo - per capirci, quello del Morellino e del Sangiovese di Romagna - vivace per la sua succosità, elegante per il suo colore snello, promettente in una longevità che si è già rivelata. Alternanza di frutti e fiori rossi e neri che non chiudono mai austeri. Anzi, il finale lungo e speziato allarga il vino su ampiezze che invitano a più sorsi.
(Francesca Ciancio)
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