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SANGIOVESE TOSCANO? NO, E' LA CALABRIA LA SUA CULLA. NASCE GENIUS LOCI, ASSOCIAZIONE PRODUTTORI VITIVINICOLI EUROPEA

Incredibile ma vero: sarebbe la Calabria, e non la Toscana, ad aver sentito i primi vagiti di uno dei più celebri vitigni autoctoni italiani, il Sangiovese. E dunque, a dirla lunga, anche nel Brunello c'é un po' di Calabria. Il vitigno più conosciuto nel mondo, e arcinoto per le sue celebrate radici toscane, sarebbe quindi figlio di un vitigno indigeno calabrese, coltivato nel passato anche in alcune zone della Campania in provincia di Salerno.

E' questa la maggiore curiosità della relazione di José Vouillamoz dell'Università di Neuchatel (formazione dei vitigni europei) presentata per la nascita di Genius Loci, associazione costituita da una serie di produttori vitivinicoli europei con l'obiettivo di proporre vini dai fortissimi legami con il loro territorio e con una tipicità tale da renderli unici e reperibili solo nella zona di provenienza.

Il Sangiovese sarebbe infatti - secondo quanto spiegato dallo studioso dell'Università di Neuchatel - figlio di due antichi vitigni autoctoni, il toscano Ciliegiolo e il Calabrese Montenuovo. Lo studio di Vouillamoz ha inoltre messo in in luce l'importanza del vitigno autoctono europeo Eiren, il più coltivato al mondo con ben 430.000 ettari.

A confermare la portata della notizia sulle radici calabresi del Sangiovese è il responsabile Ambiente e Territorio della Coldiretti, Stefano Masini: "abbiamo scoperto - ha detto riferendosi alla relazione illustrata da Vouillamoz - che non è toscano ma calabrese. Si tratta di una grande notizia per i cultori del vino e di questo settore".

L'essenza di Genius loci, ha spiegato Andrea Surbone, coordinatore dell'associazione, "é presentare uniti una serie di vini che possano essere reperiti dai consumatori solo nella zona di cui sono espressione". Una bottiglia, infatti, per quanto eccellente possa essere, non potrà - secondo Surbone - mai essere esaustiva di se stessa; la sua piena conoscenza si potrà avere calcando il suolo che l'ha prodotta, guardando i volti delle persone che colà abitano, apprezzando la luce, la morfologia, l'intervento umano, dai casolari alla culinaria, in quella regione.

"Il fine associativo diviene, quindi, - ha concluso Surbone - non solo presentare un vino, ma anche il territorio di cui tale vino è espressione. Si tratta, pertanto, di una associazione, più che fra produttori, fra vini che abbiano in sé valenze anche turistiche e culturali. Questo, quindi, il nostro scopo ultimo: offrire agli estimatori, ognuno per il proprio ambito ma uniti nella proposta, un vino e il suo genius loci".

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