Quando ci imbatte nella migliore Calabria enoica, va innanzitutto riconosciuto che dal confronto se ne uscirà sempre entusiasti: non fosse che per i tanti problemi, le molteplici fatiche, la mai adeguata considerazione e le difficoltà mercantili con cui anche i migliori campioni della punta dello Stivale devono costantemente fare i conti, al fine di arrivare a collocare le loro etichette nelle migliori enoteche e nei più rappresentativi ristoranti del Tricolore. Una regione unica, per caratteri pedoclimatici e tradizione vinicola, che solo da alcuni anni, finalmente, s’è fatta conoscere per quello che è. Anche grazie a figure come Sergio Arcuri, da una decina d’anni fra i massimi portabandiera territoriali: da quando, in sostanza, ha ereditato l’azienda di famiglia facendo del Cirò una sua imprenscindibile ragione di vita. Raccolta manuale, agricoltura biologica, chimica mal vista, fermentazioni spontanee, affinamenti in cemento: un recupero della tradizione, aggiornato ovviamente alle conoscenze odierne, che si ricollega direttamente alle pratiche e alla filosofia che era solito mettere in atto il bisnonno Beppe. Greco e Gaglioppo a tessere le fila come dimostra anche questo Aris, atteso diciotto mesi prima della commercializzazione. Prugna in confettura, marasca, liquirizia e ricordi ematici a precedere un assaggio succoso ma energico: pugno di ferro in guanto di velluto.
(Fabio Turchetti)
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