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SETTIMANA DEL SAGRANTINO - I MASSIMI ESPERTI DEL MONDO DEL VINO ITALIANO (DA CERNILLI A RIVELLA A SCIENZA) SI CONFRONTANO SUL RUOLO ATTUALE DELLE DOC E DOCG

Italia
Daniele Cernilli

Le Doc e Docg (dal Barolo al Brunello, dal Sagrantino al Chianti Classico) hanno rappresentato uno degli strumenti più importanti della “cosiddetta” rinascita enologica italiana, ma il loro ruolo sembra destinato a cambiare, di fronte alle sfide sempre più competitive del mercato internazionale.

“E’ bene sottolineare, oltre all’indubbio contributo della loro costituzione, che le denominazioni italiane suscitano alcune perplessità – ha spiegato Daniele Cernilli, condirettore de “Gambero Rosso” – perché non sono riuscite a fare abbastanza. Sono stati piuttosto i marchi aziendali ad imprimere la accelerazione decisiva ai vini italiani. Un caso per tutti? Il Sassicaia! I vini di maggiore impatto sia qualitativo che d’immagine, penso soprattutto a quelli di Gaja, di cui all’estero non interessa molto sapere che provengono dal Barbaresco, non sono stati supportati adeguatamente dal nostro sistema delle denominazioni. Le denominazioni – ha proseguito Cernilli – sono più dei certificati di nascita che dei certificati di buona condotta e molte denominazioni hanno innalzato delle asticelle molto basse, perché tutti potessero agevolmente superarle, molte altre invece sono delle creazioni burocratiche e spesso non vengono neppure utilizzate. Un esempio? Il moscato di Siracusa, ma ce ne sono molti altri. Insomma, ce ne sono troppe – ha concluso il curatore della Guida più consultata d’Italia – e questo crea confusione, soprattutto fra i consumatori”.

Del medesimo parere anche Ezio Rivella, enologo-manager ed ex presidente dell’Unione Italiana Vini, che ha dichiarato: “la storia del recepimento delle denominazioni di origine in Italia è cominciata con il piede sbagliato. Privilegiando la tradizione sulla qualità e le attribuzioni politiche. E’ una carta d’identità, dove la qualità è confusa con la mera provenienza. Cerchiamo tutti di fare attenzione, nel lungo percorso che ci aspetta nella futura revisione della legge 164-92 – ha concluso Rivella – senza ricorrere ai nostri classici bizantinismi, visto che dobbiamo confrontarci con la pragmaticità anglosassone, che impera nel mercato del vino”.

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