C’era una volta (ma mica tanto fa, trent’anni o poco più) il via alla rinascenza del vino italiano e un manipolo (allora risicato) di cantori che come prima “mission” avevano quella di scout: cercare in giro, partendo dalle regioni vocate ma tracimando poi ovunque, bottiglie degne d’entrare nell’avanguardia della “nuova” qualità. Oggi la missione è largamente compiuta. I produttori nazionali di livello sono molte migliaia. E la caccia semmai è all’eccellenza o allo speciale valore aggiunto in ogni comparto. Ma (nostalgia canaglia?) quando il mezzo di ricerca di sempre – l’assaggio – ti regala, oltre al gusto del test, il brivido dell’inedito, il piacere è pari a quello, sennò quasi irripetibile, degli inizi. Capita con un vino e una piccola azienda di Paternopoli. Stefania Barbot, titolare del brand, suo marito Erminio Spezia e Vincenzo Mercurio, enologo, sono i pianeti di un trigono felice, entrato nello zodiaco taurasino col primo grande rosso edito: il 2013. Tre ettari, vigne prefillossera, scelta bio, nomi indizio d’un mood colto e speciale (il Taurasi si chiama Fren, anima, in greco), botti grandi, massa in acciaio. E, al naso, subito marasca sotto spirito e prugna matura seguiti da sbuffi più evoluti di tabacco, pepe nero, liquerizia, menta e incenso. Complessità, austerità, bocca piena e intensa. E davanti una pista bella lunga. Come la traccia che il nuovo brand lascia presagire.
(Antonio Paolini)
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