Se guardiamo al Veneto enoico, in questi ultimi anni di ripresa d’interesse verso la produzione bianchista, a primeggiare è senz’altro il “fenomeno” Prosecco, ma non pare così distante l’impatto del Pinot Grigio che, a queste latitudini, ha storicamente segnato un punto di non ritorno fin dagli anni ‘60 del secolo scorso. Quello prodotto dalla Tenuta Sant’Antonio, nella versione 2022 vinificata in acciaio, possiede aromi di fiori bianchi, pera e mela, con tocchi agrumati e di erbe aromatiche. Accattivante il sorso, dallo sviluppo scorrevole, continuo e tendenzialmente sapido, che chiude su ritorni fruttati. La Tenuta Sant’Antonio, 150 ettari a vigneto per una produzione di 700.000 bottiglie, è una delle più grandi aziende vitivinicole private del veronese e nasce alla metà degli anni Novanta grazie all’intraprendenza dei fratelli Castagnedi. Oggi, questa realtà ha assunto un rilievo non secondario nel panorama enoico del veronese, dividendo i suoi sforzi tra la denominazione del Soave e quelle della Valpolicella, anche se il cuore pulsante dell’azienda continua a battere sempre nella collina di San Briccio, da cui tutto è partito. La gestione in vigna e cantina è attenta e, benché le etichette siano saldamente “market oriented”, i vini, oltre che di esecuzione ineccepibile, non mancano di buona aderenza al loro territorio d’origine, con gli Amarone a recitare il ruolo di protagonisti assoluti.
(fp)
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