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Torna lo Shedeh, il vino egiziano tanto pregiato capace di resuscitare i morti. Ricreato dall’azienda trevigiana Antonio Rigoni utilizzando le tecniche del tempo, se ne trovarono resti nelle anfore della tomba del “faraone fanciullo” Tutankhamon

Italia
Il “faraone fanciullo” Tutankhamon

“Irep nefer nefer nefer” si legge su di un’anfora ritrovata nella tomba di Tutankhamon, che conteneva proprio resti del Shedeh, “vino buono buono buono”. Vino talmente prezioso da essere considerato capace di riportare in vita i morti, talmente di pregio che vi era riportata anche l’annata di produzione e il nome del capo cantina, segno di quanto fosse importante in quella civiltà la cultura vitivinicola. Perché allora non provare a riprodurlo? A cimentarsi è stato Fabio Zago, dell’azienda Antonio Rigoni a Chiarano, in provincia di Treviso, con l’aiuto di una squadra di egittologi, fra cui Antonella Avanzo, egittologa, storica dell’arte e ideatrice del progetto. “Chi produce vino - spiega Zago all’edizione fiorentina de “la Repubblica”- lo fa per passione, e per questo ho accettato la sfida. Trattandosi di un vino antico, ho scelto di utilizzare alcune delle uve più antiche presenti sul nostro territorio. Lo Shedeh che abbiamo realizzato è un prodotto che si presta bene all'invecchiamento in bottiglia, rivolto a una clientela medio-alta”. Per aderenza alle sue origini, il vino riporterà in etichetta la frase contenuta in un famoso papiro, Harris 500, custodito al British Museum: “Ascoltare la tua voce è per me vino shedeh”.
“Tutto è nato nel 2005 - racconta Donatella Avanzo - quando abbiamo presentato al salone del vino di Torino la ricostruzione, sulla base di disegni ritrovati nelle tombe e delle ricerche di Patrick McGovern, di un torchio per la vinificazione utilizzato in epoca ramesside”. Il progetto successivo è stato la ricostruzione tridimensionale, in scala 1:1, della camera mortuaria del “faraone fanciullo” Tutankhamon, scomparso nel 1323 a.C. a diciannove anni e scoperta nel 1922 da Howard Carter. Proprio questa riproduzione, realizzata dall’artigiano Gianni Moro, è stata lo stimolo per spingersi poi oltre e provare a riprodurre quel nettare ritrovato in fondo a una delle anfore della tomba.
“Nella tomba di Tutankhamon - prosegue la studiosa - sono state ritrovate 23 anfore vinarie. Tre, in particolare, erano state collocate rispettivamente a est, a ovest e a sud rispetto al sarcofago: la prima conteneva vino bianco, a bassa gradazione, a indicare il sole debole del mattino; la seconda vino rosso, più forte, come il sole caldo di metà giornata mentre la terza vino shedeh, più alcolico, dolce e gradevole, che si pensava potesse dare al defunto l’energia necessaria per rinascere al termine del suo viaggio notturno. Sullo shedeh si è detto di tutto: per un certo periodo si pensava che fosse fatto con semi di melagrana; oggi invece i ricercatori hanno appurato che era a base di uva. E così noi abbiamo provato a rifarlo”.
Sia la riproduzione della camera mortuaria, sia il vino Shedeh saranno l’attrazione speciale di TourismA, il Salone internazionale dell’archeologia organizzato dalla rivista Archeologia Viva, in programma fino a domenica a Firenze, al Palazzo dei Congressi, il cui grande protagonista sarà proprio l’Egitto, con la figura misteriosa e intrigante del suo giovane sovrano.

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