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USA: NUBI SU IMPORT 2004, DA ITALIA -2% VALORE. I PRODUTTORI: OCCORRONO PIU’ INVESTIMENTI A DIFESA QUALITA’

Italia
Bottiglie di qualità italiane

Gli occhi degli operatori sono puntati su Stati Uniti e Germania. Soprattutto su questi due fronti si è giocato il calo dell'export di vino nel 2003. E, mentre in Germania i primi segnali sembrano essere confortanti, dagli Usa arriva a prima doccia fredda, sia pure destinata ad essere letta con qualche risvolto positivo per il made in Italy. Il 2004 si è infatti aperto con una brusca contrazione per le importazioni vinicole americane, che hanno segnato a gennaio una diminuzione dell'8,4% in quantità e del 5,6% in valore rispetto al gennaio del 2003. La flessione, secondo i dati diffusi dall'Italian Wine & Food Institute, ha interessato anche l'Italia con una diminuzione del 15,3% in quantità (123.850 ettolitri contro i 146.210 ettolitri del gennaio 2003) e del 2% in valore (54,2 milioni di dollari contro i 55,24 milioni di gennaio 2003).

Un segnale non proprio buono, dunque. Ma, se letto a confronto con quanto è avvenuto per gli altri Paesi, potrebbe anche significare una sorta di ripresa, almeno sul fronte delle scelte di qualità. Le importazioni dall'Australia, infatti, hanno segnato un calo del 3,9% in quantità e dell'8,2% in valore (160.790 ettolitri e 62,4 milioni di dollari contro 167.340 ettolitri e 67,99 milioni di ettolitri del gennaio 2003) e dalla Francia addirittura del 19,7% in quantità e del 14,8% in valore (47.380 ettolitri e 34,36 milioni di dollari contro i 59.030 ettolitri e 40,26 milioni di dollari di gennaio 2003). Diverso andamento, invece, per le importazioni dal Cile, con un aumento del 6,9% in quantità e una diminuzione dell'1,9% in valore (42.640 ettolitri e 11,89 milioni di dollari contro i 39.890 ettolitri e 12,13 milioni di dollari di gennaio 2003). Le importazioni complessive americane sono state a gennaio di 419.650 ettolitri, per un importo di 183,9 milioni di dollari, contro 457.930 ettolitri per un importo di 194,73 milioni di dollari del gennaio 2003.

"Non si può parlare di andamento positivo - commenta il presidente dell'Unione italiana vini, Ezio Rivella - ma dobbiamo anche constatare che è stato il mercato che ha tenuto di più". Sulle cause del calo, secondo Rivella, non ci sono dubbi: "il problema del dollaro che ha perso terreno sull'euro non è stato certo secondario". Ma anche per il presidente dell'Uiv ci sono segnali interessanti sotto il profilo della qualità. La strategia, secondo Rivella, deve prendere le mosse dal potenziamento dei sistemi di diffusione e di valorizzazione dei prodotti italiani di qualità. "Bisogna insistere - sostiene il presidente dell'Uiv - e aumentare gli investimenti nella promozione e nella distribuzione".

Ma anche il fronte dei prezzi troppo alti resta aperto. Probabilmente a scendere sul mercato Usa è stata la quantità dei vini meno pregiati, ma i segnali che arrivano dall'aggressione da parte delle bottiglie a due dollari non lascia tranquilli i produttori, sempre più convinti che la filosofia vincente per il futuro è produrre bene, con un preciso rapporto di prezzo. Un concetto già presente nei prodotti di fascia media, mentre nella gamma alta ci si è illusi che questo rapporto tra qualità e prezzo non fosse così indispensabile. Eppure oggi la nuova competizione si gioca proprio nel segmento alto. "I margini di ripresa ci sono - afferma Gianni Zonin - anche se il successo del vino italiano negli ultimi anni ha fatto credere a qualcuno che bastasse il valore "immateriale" del prodotto, dato da cantine miliardarie, enologi di grido ed entusiastiche recensioni, a giustificare aumenti dei prezzi che oggi appaiono esagerati". Proprio in tale ottica Zonin, che produce anche negli Stati Uniti, ha deciso di affrontare il mercato bloccando i prezzi dei listini 2004 e il 2005.

E c'é anche chi lancia una ricetta scientifica per tutelare la qualità del vino italiano e fermare la concorrenza di bassa qualità: "Bisogna arrivare, anche con il contributo dello Stato, a una banca dati nella quale conferire tutti i dati "scientifici" disponibili su vitigni italiani e sul loro territorio", propone Jacopo Biondi Santi, secondo il quale "questo permetterebbe di essere più forti nell'identità e impedirebbe facili imitazioni". Una linea sostanzialmente condivisa da Piero Antinori, per il quale "il rapporto tra vino, cultura, territorio e storia permette al vino italiano di avere una marcia in più fondamentale rispetto alle produzioni degli altri Paesi del mondo". Ma soltanto a una condizione: essere tutti d'accordo e giocare di squadra.

Fonte: Ansa

Autore: Pierluigi Franco

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