Un investimento forte nel cuore del Chianti senese, gestito con autorevolezza e in dinamica espansione di progetti e di superfici (già a 105 ettari). Affidata, quest’ultima, a passione e scienza di un giovane agronomo fine studioso di suoli e loro attitudini, e orientato su un drive ampelografico di lunga gittata, fatto di elezione dei cru, sostenibilità, resilienza. In cantina (nuovissima anch’essa) la regìa è stata affidata - a riprova delle ambizioni della casa - a una label del peso della premiata ditta Cotarella. La gamma, ampia e “supertuscanizzata” (con Merlot, i due Cabernet e Chardonnay, tradotto anche in Metodo Classico) si sta però focalizzando, nell’ambito del lavoro di cui sopra, su due vitigni a bacca rossa diversissimi per timbro e origine, ma con in comune il coefficiente di difficoltà per chi ambisca al top: la bandiera indigena Sangiovese (tradotto già in Chianti Classico di scorrevole bevibilità e un Gran Selezione, il Lapina, dal forte timbro) e la beatitudine o dannazione, secondo esito, di produttori ed enologi: cioè il Pinot Nero. E proprio di quest’ultimo Vallepicciola offre un’interpretazione deliziosamente light e riuscitissima: il rosé Lugherino, varietale ed elegante, florealità e piccoli frutti senza avarizia, sorso setoso e di nitida memoria gustativa. A riprova della fiducia guadagnata, è (insolitamente per il genere) proposto anche in magnum.
(Antonio Paolini)
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