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MERCATO

Vino italiano, tornano a crescere, seppur di poco, le vendite in Gdo in Usa, Germania e Uk

Unione Italiana Vini (Uiv) e NielsenIQ: nei principali mercati del vino tricolore +0,4% in volume e +1,9% in valore; in Usa, boom dei low-alcol

Così come non brillano di certo le esportazioni di vino italiano, almeno stando ai dati Istat sui primi 7 mesi 2023 (-1,2% in valore e -1,5% in volume sullo stesso periodo 2022), non sorprende che anche le vendite nella Gdo dei principali mercati del vino italiano continuino ad essere “avare di soddisfazioni”, come le definisce l’Osservatorio Unione Italiana Vini (Uiv) su base Nielsen-IQ. Anche se qualche timido segnale di risveglio arriva: nei primi 9 mesi la performance complessiva allo scaffale negli Stati Uniti, Germania e Regno Unito vira timidamente in territorio positivo, a +0,4% nei volumi (era a -0,2% nel semestre), per un valore totale di oltre 3,3 miliardi di euro, in crescita del +1,9%. Nel complesso, nei tre Paesi, scende a volume la domanda tendenziale degli sparkling tricolori (-2%), mentre salgono dell’1,2% i fermi (2,15 miliardi di euro), per un totale di 3,4 milioni di ettolitri pari a 452 milioni di bottiglie da 0,75 litri.
Il rendimento stazionario - rileva l’Osservatorio Unione Italiana Vini (Uiv) - si riscontra in tutti i mercati, tra alti e bassi a seconda delle tipologie. Tra le buone notizie, la crescita volumica degli spumanti negli Usa (+3,7%) e quella del mercato dei vini fermi in Germania e Uk (attorno al +4%), grazie anche ai sensibili miglioramenti di Primitivo, Montepulciano e Nero d’Avola. Per contro, nel primo mercato al mondo, soffrono i fermi del Belpaese (-6,6%), mentre le variazioni degli spumanti in Uk e Germania sono negative e si attestano rispettivamente a -5,9% e a -1,4%. Il computo finale segna Uk stabile (+0,1%), Germania in terreno positivo (+3,9) e Usa ancora in calo (-3,5%).
E, proprio negli Stati Uniti, è ancora alta l’influenza nella Gdo del brand statunitense che commercializza prodotti “low alcol” con aromi alla frutta provenienti dall’Italia e, in particolare, dal Piemonte: su un totale di 906 milioni di euro, relativo agli acquisti di “table wines” tricolori (vini fermi e frizzanti, esclusi spumanti), l’impresa americana di vino italiano somma vendite per 341 milioni di euro, con un’incidenza sul venduto della tipologia al 38%.
“Il fenomeno - ha detto il segretario generale Unione Italiana Vini (Uiv), Paolo Castelletti - deve far riflettere la nostra filiera, perché è la sintesi delle potenzialità multitarget del vino in una fase di forte transizione dei trend di consumo. Il modello italiano rimane chiaramente quello tradizionale dell’alta qualità e del sistema delle denominazioni, ma ciò non esclude l’apertura verso forme produttive più “laiche”, con “contaminazioni” che assecondino una domanda giovane sempre più disimpegnata e spesso attenta al grado alcolico. Il player statunitense, sfruttando anche il brand Italia, negli ultimi 7 anni, ha aumentato il proprio business del 500% e non è certo un caso”.

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