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LO STUDIO DAL BELGIO

Vitigno, clima, suolo e uomo: alla base della nascita delle grandi denominazioni

I casi di Porto, Chianti, Borgogna e Champagne per raccontare le dinamiche commerciali del passato
BORGOGNA, CHAMPAGNE, CHIANTI, PORTO, Italia
Il bando del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici che ne delimitava i confini del Chianti

Il concetto di terroir è tutt’altro che fumoso, semplificando molto possiamo dire che definisce un territorio caratterizzato da un certo tipo di suolo, da determinate condizioni climatiche, e da come queste impattano su uno o più vitigni, ovviamente attraverso l’intervento dell’uomo, frutto di una tradizione vitivinicola storicizzata. Tutto qui? No, di sfumature ce ne sono tantissime, ed è proprio sul ruolo dell’uomo che si concentrano riflessioni e studi. Come “Trade and Terroir The Political Economy of the World’s First Geographical Indications”, firmato dai ricercatori Giulia Meloni, del LICOS - Centre for Institutions and Economic Performance dell’Università belga KU Leuven, e Johan Swinnen del Centre for European Policy Studies. Una ricerca articolata, che ha indagato l’influenza storica del commercio enoico sulla nascita delle prime Indicazioni Geografiche, focalizzata su quattro produzioni fondamentali: Porto, Borgogna, Champagne e Chianti.
Proprio su quello che oggi è il vino italiano più conosciuto nel mondo si concentra l’attenzione di WineNews
. Come racconta lo studio pubblicato dalla “American Association of Wine economics” (www.wine-economics.org), nel lontano XV secolo la produzione di vino in Toscana toccava i 140.000 ettolitri, per la stragrande maggioranza consumati sulle piazze di Siena e Firenze, il resto esportato nei vicini mercati di Napoli, Corsica e Liguria. Nel XVI secolo, il crollo del prezzo del grano e la crescita della domanda di vino, portarono, proprio nella zona dell’attuale Toscana, ad un vero e proprio boom della viticoltura. Che, però, continua a non godere di alcun prestigio fuori dai confini del Granducato che, con i suoi regolamenti, vietava la vendita di vino all’estero.
Ci sarà bisogno di un’altra, storica, svolta: la guerra tra Francia e Gran Bretagna, scoppiata nel 1688, che portò al collasso dell’export di vino francese. Un’opportunità enorme, come spiga bene lo scritto del conte e diplomatico fiorentino Lorenzo Magalotti. “Non dobbiamo farci scappare la congiuntura di questa guerra tra Inghilterra e Francia (…) Dobbiamo ricordarci che gli inglesi amano i vini rossi e secchi, ed in questo senso il Chianti sarebbe il più appropriato da commercializzare (…) Per prevenire frodi che potrebbero screditare la qualità dei nostri vini, però, ci vogliono persone affidabili che sorveglino i vini”. Il divieto alla commercializzazione, così, decadde solo nel 1698, per mano del Granduca di Toscana Cosimo II De’ Medici: in quell’anno, le esportazioni in Inghilterra arrivarono a 13.000 ettolitri, l’8% delle importazioni complessive, dai 300 ettolitri del 1675.
Il successo fu rapido, e coinvolse tutte le grandi famiglie nobiliari dell’epoca, come gli Antinori, i Marchesi de’ Frescobaldi ed i Ricasoli, ancora oggi i produttori di riferimento della Toscana del vino. I prezzi dei vini prodotti nella zona del Chianti raggiunsero cifre altissime: il mercante Niccolò Mucotti, nel 1709 vendeva una cassa di Barone Ricasoli a 200 sterline, contro un prezzo medio degli altri vini di 5 sterline. Ma con l’espansione del mercato, si pose un problema: garantire la provenienza e la qualità del Chianti. Già, perché nel frattempo in altre zone della regione si produceva vino di qualità inferiore, ma venduto comunque come Chianti, minando la credibilità del vino di qualità sul mercato, particolarmente esigente, inglese. I potenti proprietari terrieri fiorentini, così, danno vita ad una vera e propria attività di lobbying sul Governo, ossia sul Granduca Cosimo III per imporre restrizioni alla produzione e proteggere la reputazione dei vini del Chianti.
Arrivano sulla scorta di queste motivazioni, squisitamente commerciali ed economiche, i due editti del 1716, il “Bando Sopra la Dichiarazione dé Confini” ed il “Bando Sopra il Commercio del Vino”, che delimitavano i confini della produzione del Chianti, estromettendo le famiglie di Siena, e ne regolavano la produzione e la commercializzazione attraverso la “Congregazione”, l’equivalente dell’attuale Consorzio di Tutela, di cui allora facevano parte le 16 famiglie fiorentine del vino più importanti
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