A Brazzano diluvia, ci rifugiamo nel tepore familiare di casa Vosca. Francesco, classe ‘59, comincia il racconto dagli anni duri dell’infanzia, già a zappare la terra. All’epoca i genitori (i baffi all’ungherese della foto paterna tradiscono il ceppo originario) avevano un’azienda agricola mista e non si dedicavano solo al vino sfuso. Ai Vosca va riconosciuto di aver contribuito a conservare la memoria della vite e del vino sul monte Quarin. Francesco si diploma enotecnico (come il figlio Gabriele più tardi) sviluppando un legame con la vigna filiale: “L’emozione delle prime gemme, del grappolo che si forma: sento come se stesse nascendo un bambino, ogni anno uno diverso”. Che Francesco sia un’anima poetica dotata di saggezza contadina, è da subito chiaro. La prova arriva però alla lettura delle sue poesie, dopo qualche calice. Poi, con la bottiglia davanti, la scoperta: Vosca si può leggere da un’altra prospettiva, rovesciando le lettere (ambigramma). Forse è il punto di vista di Gabriele, da 2 anni titolare a tutti gli effetti, classe ‘88 e tanto entusiasmo costruttivo. Le vigne, in proprietà e affitto, totalizzano 12 ettari, tra le ponche del Collio e le terre argilloso-alluvionali isontine. Vigne di friulano novantenni, 100 per la malvasia. Quest’ultima profuma di tiglio, di erbe aromatiche, di frutti a polpa gialla. Trama strutturata e avvolgente che accompagna il sorso sapido e lunghissimo.
(Alessandra Piubello)
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