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Wine2Wine - Private label, un’alternativa da scoprire per produttori e rivenditori: libere dallo stigma della bassa qualità e forti della fiducia crescente dei consumatori fidelizzati, le etichette private e il crescente dominio dei retailer

Private label: una definizione che spesso, all’interno dell’industria, genera immediatamente una molteplicità di giudizi - raramente positivi - ma anche un fenomeno di mercato che, piaccia o meno, piace ai consumatori, con il 70% di loro che crede possano essere una valida alternativa alle etichette convenzionali, e che detiene la maggioranza assoluta del venduto in mercati come Svizzera e Regno Unito. Inoltre, una prodotto a marchio può far incrociare bisogni ed opportunità di due anelli della filiera del vino che raramente si relazionano direttamente, con benefici per entrambi, come sottolineato dal forum b2b “Wine2Wine” di Veronafiere dal broker di vino sfuso svedese Cruz Liljegren, fondatore di “Premium Wine Broker”.
Innanzitutto, ha esordito Liljegren, una private label non è più, e da tempo, ipso facto il vino di chi ha limitatissime possibilità finanziarie, dato che il costante crescere della qualità di questi vini ha ampiamente modificato la percezione dei consumatori delle grandi catene del retail, facendo inoltre leva sulla loro bassa fedeltà a un brand e alla loro voglia di esplorazione e di nuove esperienze di consumo. Questo sta creando nuove opportunità di mercato proprio nelle fasce di prezzo comparativamente più alte del segmento, dando vita ad esperimenti del tutto diversi tra di loro, ma tutti baciati dal successo. Che si tratti del wine club statunitense Winc, che ha creato centinaia di vini a marchio di piccoli volumi per soddisfare la curiosità dei propri clienti, che l’etichetta di Champagne creata da Marks & Spencer nel Regno Unito, quella Louis Chavrey il cui successo ha portato la stessa catena a separare dal proprio un marchio ormai capace di camminare sul proprio brand, passando per il vino più venduto di Svezia, il sudafricano Zumbali, senza contare le edizioni limitate che cavalcano l’hype di fenomeni globali come la serie tv “Game of Thrones”, insomma, il private label vince e convince sugli scaffali di tutto il mondo - ed è sempre bene tenere a mente che anche gli chateaux bordolesi sono soliti vendere i vini di standard inferiori (che non vuol dire certo vini di bassa qualità) ai produttori di private label.
La “win-win proposition” di questi prodotti a marchio è composto, dal lato della gdo, da bassi costi di entrata sul mercato, e di un’entrata immediata rispetto ai tempi canonici, accoppiata ad un’esclusività intrinseca del prodotto e dalla possibilità di creare un prodotto su misura di una clientela già ben conosciuta, aumentando la fidelizzazione e la frequenza di acquisto. Per i produttori, invece, le opportunità risiedono, innanzitutto, nell’alleggerirsi da un eccesso di stock inerte, che può derivare sia da annate particolarmente buone che da un proprio processo di ricerca di qualità ancora maggiore, accoppiato a un aumento immediato della propria liquidità che, spesso, è tutt’altro che un evento isolato, particolarmente in caso di successo sul mercato. Vero è, però, che spesso contro una private label si deve anche combattere, e su quegli stessi scaffali dove il prodotto a marchio è di casa - ma, ha proseguito Liljegren, in questo senso alcuni dei punti di forza della private label possono essere talloni d’Achille: con tutta la buona volontà, il settore dei prodotti a marchio ha un tasso di innovazione e di differenziazione decisamente basso, e possibilità di marketing ben più limitate di quelle di un produttore, oltre che il rischio di una costanza qualitativa del prodotto che talvolta lascia decisamente a desiderare e un livello di trasparenza spesso non in sintonia con i desideri di un pubblico che in questo senso si sta facendo sempre più esigente.
Ad ogni buon conto, ha concluso il broker svedese, i trend per il 2018 in tema di private label sono ancora positivi: il sentiment dei consumatori andrà ulteriormente verso l’accettazione di questa famiglia di prodotti e la loro fedeltà al brand, complice un clima macroeconomico incerto, continuerà invece a calare, a differenza della loro affezione, particolarmente nel primo mercato enoico del mondo, gli Stati Uniti, proprio per i vini a marchio delle grandissime catene della gdo, da Wal-Mart in giù.

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