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APPROFONDIMENTO

WineChain: la valorizzazione premia le aziende e i fine wine guardano al mondo dell’arte

Tra NFT, tutela della qualità e speculazione, dentro alla piattaforma indipendente pensata per i grandi vignaioli che guarda all’Italia
FINE WINES, NFT, WINECHAIN, Italia
WineChain: NFT e fine wine

Sul rapporto tra vino ed NFT si è scritto molto, e di iniziative più o meno imprenditoriali negli ultimi due anni ne sono nate molte. Eppure, quello dei non fungible token resta un mondo ancora da scoprire e capire a fondo, su cui si registra ancora una certa diffidenza, legata principalmente “a ciò che è successo negli ultimi tempi, quando si è registrata una valorizzazione spesso eccessiva di NFT slegati da asset reali”, spiega, a WineNews, Nicola Munari, Business Development per l’Italia di WineChain, piattaforma indipendente pensata per i grandi vignaioli, lanciata da Xavier Garambois, ex vicepresidente Amazon Europa, Guillaume Jourdan, Ceo VitaBella a Parigi, Nicolas Mendiharat, Ceo Palate Club a San Francisco, ad aprile 2022, e che ha già raccolto finanziamenti per ben 6 milioni di euro. “In realtà - riprende Munari - è tutto molto più semplice nel nostro caso. Il produttore di vino anziché vendere la bottiglia fisica, su WineChain può effettuare la vendita direttamente al collezionista o buyer privato, che invece di acquistare la bottiglia fisica acquista un NFT (wiNeFT è il nome ufficiale di un Nft su WineChain, ndr) che ha la funzione della ricevuta di acquisto, registrata sulla blockchain e quindi impossibile da contraffare, legata ovviamente ad una bottiglia fisica”.

L’NFT, quindi, è legato direttamente ad un bene fisico, la bottiglia di vino, e questa è la migliore garanzia della linearità di un’operazione che, tra i suoi capisaldi, ha quello della tutela della qualità, che passa per la conservazione nel miglior modo possibile: in cantina. “Molti dei vini di grande qualità, su tutti quelli di Bordeaux, Borgogna, Montalcino, Barolo, Bolgheri, hanno vocazione all’invecchiamento e alla valorizzazione nel tempo. Questo vuol dire che la bottiglia non la acquistiamo per berla subito, e allora, pensandoci bene, non c’è motivo di muoverla appena comprata: il primo vantaggio di WineChain è che la bottiglia resta in cantina, e la vendita avviene, come detto, tramite un token. Se dopo qualche anno, dopo che la bottiglia ha continuato a riposare in condizioni di stoccaggio assolutamente perfette - senza essere esposta ad alterazioni di temperatura o alla luce - decido di venderla, ho la possibilità di farlo rivendendo l’NFT a chiunque nel mondo, e molto probabilmente la mia bottiglia avrà acquisito valore, come succede per tutti i fine wine”.

A prima vista, nulla di troppo diverso da quanto avviene su molte piattaforme dedicate al mercato secondario dei fine wine. Ma non è proprio così, perché un’altra delle peculiarità di WineChain è la centralità delle aziende, che passa innanzitutto per la valorizzazione acquisita dalla bottiglia, “rispetto alla quale il produttore riceve una royalty, e questo è il secondo vantaggio. Non è affatto una cosa scontata allo stato attuale delle cose, ma pensiamo che sia legittima: dietro ogni bottiglia di vino d’eccellenza c’è il lavoro di anni se non decenni, a volte di generazioni, e il fatto che una parte della valorizzazione della bottiglia ritorni alla proprietà è una cosa lecita. Stupisce, infatti, che attualmente la maggior parte della valorizzazione, anche finanziaria, venga assorbita dai mercati e dalla speculazione, e ben poco torna direttamente alla cantina”, continua Munari.

Tornando alla qualità della conservazione della bottiglia, “è importante sottolineare che non si muove fin quando, come si dice in gergo, l’NFT non viene “bruciato”. In quel momento viene spedita al consumatore finale: la possibilità di trasferire in modo il più fedele possibile la qualità imbottigliata dalla cantina al consumatore è un elemento molto importante. Se da un lato si rosicchia il margine della speculazione, dall’altro lato la qualità della conservazione, specie rispetto a bottiglie che fanno più e più volte il giro del mondo, sarà decisamente superiore, garantendo così un valore diverso alla bottiglia stessa”, sottolinea il Business Development per l’Italia di WineChain.

Analizzati i pilastri su cui poggia WineChain, l’attenzione si sposta quindi sullo step successivo, ossia sul mercato a cui ci si rivolge, che Munari individua in due differenti communities: “da un lato ci sono i wine lovers, e quindi la comunità degli amanti del vino e dei collezionisti, dall’altro un pubblico nuovo, quello che viene dal mondo degli NFT, della tecnologia, che magari non ha mai sentito parlare di Barolo o Montalcino, un ecosistema che il vino lo sfiora appena, senza un rapporto diretto. Il vantaggio di questo modello, soprattutto tra le nuove generazioni, è proprio la possibilità di creare un ponte con gruppi e communities che oggi non hanno nessun legame con il vino, legate spesso al mondo dell’arte, di cui fanno parte anche certe etichette, capaci di rappresentare plasticamente un territorio, un’annata e una famiglia con tirature spesso molto limitate e annate irriproducibili. Così come esiste l’arte gastronomica dei grandi chef, c’è anche l’arte enologica, ed il legame tra le communities che orbitano intorno al mondo dell’arte ed il vino è un altro aspetto che WineChain contribuirà a favorire”.

Il legame, quasi naturale, ma comunque da costruire, si ritrova nelle storie, straordinarie, che il vino riserva, anche in Italia. “È assolutamente vero che i vini vanno bevuti, ma ci sono delle storie, di cui in Italia siamo ricchissimi, capaci di emozionare. Valorizzarle, al di là del prodotto vino, restituendo il valore culturale ed artistico che rappresentano per il loro territorio e non solo, è qualcosa che dobbiamo imparare a fare. Dare visibilità a queste storie, di cui miliardi di persone nel mondo non hanno mai sentito parlare, anche utilizzando nuove modalità come gli NFT, è un passo fondamentale per valorizzare adeguatamente prodotti unici e tradizioni che fanno la nostra Storia e la nostra unicità. WineChain - conclude Nicola Munari - si trova alla confluenza di una triplice evoluzione: tecnica, per quanto riguarda conservazione, distribuzione e tracciabilità; culturale, con un passaggio da una visione alimentare e gastronomica ad una artistica del vino; generazionale, perché è un progetto che fa sedere intorno ad un tavolo due o tre generazioni di produttori”.

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