Nel breve periodo, dal 15 ottobre al 6 novembre, la parola “sostenibilità” compare nell’archivio del “Corriere della Sera”, il principale quotidiano italiano, in 270 articoli. Questo è solo uno degli indicatori della “sovraesposizione” a cui è soggetto tutto quanto, a torto o a ragione, vero o falso, viene raccontato sul tema. Un tema che interessa da vicino il settore vitivinicolo che, nell’agroalimentare, è il più avanti quanto a protocolli di sostenibilità. Dalla sovraesposizione all’indifferenza (dei consumatori), però, il passo è breve, come già dimostrano i risultati di alcune indagini, e quindi è urgente per il settore interrogarsi sulle modalità con cui comunicare gli sforzi in questa direzione che molte aziende hanno già fatto e altre si apprestano a fare. Tema caldo che, a Wine2Wine, a Veronafiere, è stato affrontato, in due incontri, entrambi con titoli significativi. “Sostenibilità è la nuova parola chiave del Belpaese che ha preso il posto di “resilienza” - ha sottolineato Giulio Somma, direttore del “Corriere Vinicolo” - che ha moderato l’incontro organizzato da Unione Italiana Vini (Uiv) - l’insostenibile comunicazione della sostenibilità”. Termine sempre più sulla bocca di tutti, la sostenibilità a volte è anche una cosa seria e proprio per questo sul cui carro stanno salendo troppi “portoghesi”, che minano il rapporto di fiducia tra aziende e consumatori”. Un carro su cui ci sono già molte aziende virtuose che hanno cominciato “per tempo” e sono già certificate.
“La sostenibilità è senz’altro una strada fondamentale per il vino italiano, ma a patto che non vi siano compromessi - ha sottolineato Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv - perchè a sostenibilità è oggetto di “greenwashing”. Noi vogliamo preservare il vino italiano da questa pericolosa deriva: per Unione Italiana Vini la sostenibilità ha un senso solo se è misurabile, e il mondo del vino vuole dare risposte, non vendere un ecologismo di facciata, sarebbe un boomerang clamoroso. Ora, con la norma unica nazionale, il settore ha un’occasione unica per dare una risposta seria e, sin dalla prossima vendemmia, certificare i propri vini anche con un marchio di riconoscimento, sul modello neozelandese”. La situazione è frutto anche della spinta, positiva, dei consumatori a chiedere prodotti sempre più “naturali”, più salubri” e anche socialmente accettabili. L’effetto collaterale è stato la produzione di una grande quantità di comunicazione sulla sostenibilità. Se le aziende devono comunicare in modo corretto azioni reali e misurabili, i giornalisti e l’informazione hanno una responsabilità molto importante nel cassare il greenwashing.
“Si è prodotto un rumore di fondo continuo - ha detto Luciano Ferraro, vice direttore del “Corriere della Sera”, per il quale pubblica anche una guida ai migliori vignaioli e ai migliori vini d’Italia con Luca Gardini - dentro il quale si fatica a distinguere le fakenews, cioè il greenwashing. D’altra parte è impossibile per noi verificare ogni notizia. Seguendo i soldi si capiscono tante cose. Non è un caso se negli Usa i Fondi di investimento in tema di “sostenibilità” ammontano a 3 miliardi di dollari quest’anno contro il miliardo del 2019. È significativo che la Sec, che è la Consob statunitense, sia intervenuta a sanzionare tre aziende per un carburante, un tessuto e un’acqua minerale per pubblicità mendaci. Ma sono solo tre casi su una comunicazione vastissima”. La certificazione, come è stato nel caso del bio, è la chiave di volta della riconoscibilità. Gli standard sono l’unico strumento per presentarsi correttamente, ma devono essere seri e fondati su dati misurabili, come nel caso di Equalitas, che contempla tutti e tre i pilastri della sostenibilità, ambientale, economica e sociale. Certificazione che è stata conseguita da un numero via via crescente di aziende: nel 2017 erano 9, nel 2019 erano 16, nel 2021 sono diventate 90, nel 2022 sono arrivate a 180 ed entro fine anno saranno 200. Altre 260 sono in corso di certificazione. E i numeri di oggi in termini di volumi e valori sono importanti: il 25% circa del fatturato settore, pari a 3,2 miliardi di euro sui 12 circa del settore, e 7,5 milioni di ettolitri di vini in volume. Ossia il 16% della media del vino decennale pari a 45,6 milioni. “La parte narrativa è importante in generale e quella della sostenibilità non fa eccezione - ha proseguito Ferraro - ma deve essere raccontata dal produttore per trasferire la sua passione”.
“Ai lettori non importa della sostenibilità”, invece, è il provocatorio titolo del panel in cui Cristina Ziliani, ai vertici della griffe storica della Franciacorta, la Guido Berlucchi, ha moderato l’intervento di Joanna Sciarrino, caporedattrice di VinePair, web magazine sul mondo enoico americano letto da 35 milioni di persone al mese. “Ho scelto un titolo un poco cinico - ha debuttato Sciarrino - per dire che se tutti dobbiamo interessarci alla sostenibilità, questa, di solito, viene raccontata in modo poco elettrizzante, non “acchiappa” click. Negli Usa, oltre alle diverse occasioni in cui si parla tanto di sostenibilità, ci sono anche dei momenti dedicati come la “giornata della Terra”, quindi negli ultimi 5 anni è diventata l’argomento numero uno in tutti i settori, ma l’interesse delle persone è in calo, e quindi per attirare l’attenzione è necessario presentare qualcosa di unico”. Le considerazioni di Joanna Sciarrino si riferiscono specificatamente all’interesse suscitato dagli articoli nei lettori del web magazine Vinpair e non al taglio che i produttori dovrebbero dare ai loro “racconti di sostenibilità”, anche se tra i due aspetti c’è una correlazione. “I lettori sono alla ricerca di storie che li facciano sentire maggiormente legati alle bevande che preferiscono - ha continuato Sciarrino - ma anche su ciò che c’è dietro le scelte che i produttori fanno per essere più sostenibili. Degli esempi? Mettere in dubbio tecniche già diffuse come per esempio quelle della conduzione in biodinamico. Capovolgere la percezione dei vini di lusso in tetrapack. Parlare dei vini multi-annata per salvare i millesimi non andati troppo bene. Servono articoli che insegnano qualcosa di nuovo e interessante, che parlino del futuro e alimentino conversazioni”.
Al lettore, insomma, della sostenibilità interessano degli aspetti che potremmo definire di conoscenza “dei retroscena”. E al consumatore? Joanna Sciarrino ha dato una risposta piuttosto scioccante dal punto di vista dei produttori: “Ai consumatori (americani) la sostenibilità interessa, ma la considerano un prerequisito, la danno per scontata. Quindi avere o meno una certificazione oggi non fa troppa differenza”.
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