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Sostenibilità, salutismo e territorio: ecco dove “andrà” il mondo del vino nel prossimo decennio

Gli scenari per il 2034 secondo Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor, a “Sanguis Jovis”, l’Alta Scuola del Sangiovese by Fondazione Banfi

Un mercato frammentato, con i consumi in calo, ma allo stesso tempo più “qualificato” e legato all’export, sempre più determinante per il proprio sviluppo economico. Uno stato dell’arte, quello del vino, che vede i rossi in calo, con un tema come quello della sostenibilità determinante per il futuro. Un’analisi sul presente per capire dove andrà il settore nel prossimo decennio, in Italia e non solo, è stato uno dei temi di “Sanguis Jovis”, l’Alta Scuola del Sangiovese voluta dalla Fondazione Banfi, nei giorni scorsi a Montalcino, per approfondire e studiare tutto ciò che ruota intorno ad uno dei principali vitigni a bacca rossa del Belpaese, e il più importante in Toscana, come il Sangiovese. Ma anche con focus di portata “globale” come dimostra “The Future is? Scenari possibili per il vino 2034”, condotto da Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor. Cosa ci dobbiamo aspettare, quindi, tra dieci anni per il mondo del vino? Intanto la crescita di concetti come “sostenibilità”, “salutismo” e “territorio”, sempre più cari ai consumatori. Nei mercati consolidati, inoltre, Unione Europea in primis, i consumi di vino continueranno a calare in volume, ma cresceranno in valore sulla base di un trend globale sensibile ai prodotti “premium”. La migrazione dei consumi, fenomeno ormai già noto, continuerà, ma con tassi di crescita più bassi, un effetto che ovviamente avrà delle ripercussioni per il vino italiano e che si sommerà ai cambiamenti climatici. E se è vero che il quadro non è dei migliori, non va comunque dimenticata l’innovazione che può venire incontro al settore, fornendo un grande aiuto, ad iniziare dalla lotta ai cambiamenti climatici.
Per capire il fenomeno della migrazione dei consumi, basti pensare che, a livello globale, dal 2003 al 2023 si è perso il 7,5%, e quindi siamo passati da 239 a 221 milioni di ettolitri con l’Europa in “rosso”; solo l’Italia (-26%), restando ai consumi, è scesa da 29,3 a 21,8 milioni di ettolitri, ma con una scelta più “qualificata”, considerando che nel 2022 i vini Dop/Igp hanno sorpassato quelli generici (12,1 contro 10,2 milioni di ettolitri)
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Consumi che calano e un export che viene incontro al settore, dimostrandosi una vera e propria ancora di salvezza: in venti anni (2003 - 2022) le esportazioni sono cresciute in tutte le principali potenze del vino, l’Italia (+109%) è arrivata a 7,84 milioni di euro, la Francia, leader, a 12,28 milioni. E proprio sulla presenza nei mercati esteri il Belpaese ha fatto passi da gigante, passando da una leadership in 9 Paesi nel 2003 (17%) ai 46 nel 2023 (22%), con la Francia che è cresciuta meno, ma primeggia, comunque, in 51 mercati. L’Ue resta l’area principale per l’export dei vini italiani (39,6% nel 2022), perdendo comunque quota negli ultimi venti anni (44,7%), mentre per quanto riguarda le categorie, il rosso è andato in leggero ribasso (ora al 56,7%) ed il calo considerevole degli sfusi (passati dal 35,1% al 19,4%) è stato “assorbito” dagli spumanti che dal 6,4% sono arrivati al 23,9%. Il calo di esportazioni dei vini rossi nel 2023 (-11,6% in Francia, -6,9% in Italia, - 12,1% in Spagna) è un segnale preoccupante che mostra come i consumi vanno altrove, e d’altronde i consumatori occasionali in Italia sono passati dal 45% nel 2008 al 60% nel 2023 con una crescente attenzione alla qualità di quanto messo nel calice, soprattutto da parte dei “Millenials” (41%). Alla domanda su quali tipologie di vino cresceranno di più in Italia nei prossimi tre anni, l’85% ha risposto quelli con marchio biologico, stessa percentuale alla voce “certificazione sostenibile” (93% per i Gen Z), il 79% quelli realizzati da piccoli produttori, il 75% crede nei vini prodotti in vitigni autoctoni, il 68% nei vini di fascia medio-alta, il 66% prodotti in uno specifico territorio, il 50% con packaging con vetro più leggero (59% per la Gen Z), il 46% pensa che aumenteranno i vini a bassa gradazione alcolica (53% per la Gen Z).
Anche negli Stati Uniti, mercato leader per l’Italia, il 71% pensa che cresceranno i vini biologici e con certificazione sostenibile, il 69% quelli realizzati da piccoli produttori, il 68% i premixati (75% da parte della Gen Z), il 61% le limited edition (70% per la Gen Z). Negli Usa, nel 2023, il vino ha coperto l’11% dei consumi delle bevande alcoliche, salgono gli spirits (10%) e i ready to drinks (9%), mentre la birra in dieci anni è passata dall’81% al 70%. I dealcolati sono ancora marginali, ma comunque con segnali di evidente crescita: i vini no alcool valgono 63 milioni di euro, e nel confronto tra il 2022 e il 2024 si è verificato un +16% in volume e +52% a valore. Una tendenza che riguarda anche altri Paesi, in Germania, ad esempio, vanno forte gli spumanti dealcolati.
“Non è facile prevedere oggi cosa potrà cambiare tra dieci anni - spiega Denis Pantini, a WineNews -, i cambiamenti già esistenti sono repentini, di mese in mese. Quello che possiamo dire è che ci sono dei fattori strutturali che già oggi hanno degli impatti su questo mercato e che continueranno ad averli anche nei prossimi dieci anni. Oggi il consumatore è attento soprattutto a tre aspetti che sono la sostenibilità, il salutismo ed il territorio; questi sono fattori che si riverseranno anche nelle scelte di acquisto per il prossimo decennio impattando sul tipo di produzione che le nostre imprese possono mettere in campo, tenendo in conto che si sommano a tutta un’altra serie di elementi, positivi e negativi: in quest’ultimo caso parliamo dei cambiamenti climatici che necessariamente porteranno molte zone del nostro Paese a rivedere un po’ anche i vitigni e le tipologie di uve da coltivare. Siamo fiduciosi che l’innovazione, che già oggi fa passi da gigante, ma ne dovrà fare molti di più anche nei prossimi anni, penso ai vitigni resistenti così come all’agricoltura di precisione, sia un elemento da considerare. Poi c’è la questione dei mercati internazionali che dovrà avere un ruolo di primo piano per mantenere i nostri livelli di filiera sostenibili da un punto di vista economico: in Italia saremo sempre di meno, caleranno i consumatori e guarderemo sempre di più all’estero con un occhio vigile su dove vanno i consumi che si spostano da un’area del pianeta all’altra. L’Asia dovrà essere vista con più attenzione rispetto a quanto viene fatto oggi, sappiamo che è un mercato molto difficile ma dobbiamo capire meglio la cultura e le tradizioni di questi popoli. Però è chiaro che i tassi di crescita dei consumi di vino sono lì, non sono più in Europa”.

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