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I “PATRIARCHI DELLA VITE”

Cresce l’interesse per i vini da vecchie vigne, espressione della connessione massima con il terroir

Le cantine italiane ne studiano la resilienza, gli appassionati ne sono affascinati. E la “Old Vine Conference”, riunita in Italia, le promuove

Anche il vino italiano ha i suoi “patriarchi”: le vecchie vigne, che hanno da 70 ad oltre 200 anni di età, e che ancora popolano i territori dove si produce vino fin dall’antichità, dal Trentino alla Sicilia, dal Piemonte alla Toscana, dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dalla Campania alla Puglia, ed il cui valore storico, culturale e genetico è inestimabile. Perché, come sottolinea, a WineNews, il professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti di viticoltura al mondo, “al di là della bellezza, l’aspetto più importante dal punto di vista scientifico dei vigneti monumentali è la resilienza, e un patrimonio genetico che ha permesso a queste piante di sopravvivere al tempo, alle malattie ed al cambiamento climatico. Geni resistenti che, oggi, è possibile individuare grazie all’epigenetica. E se dal loro legno possono nascere nuove piante, studiarne il germoplasma è interessante perché frutto di scelte fatte per rispondere a condizioni produttive ed ambientali diverse dalla nostre. Tutto questo è fondamentale per la viticoltura del futuro”. Per questo, le vigne storiche sono un patrimonio unico di biodiversità ed hanno bisogno di cure particolari, da parte delle cantine che ne sono le “custodi”, grazie al know how di esperti di altissimo livello. Come Marco Simonit, creatore, con Pierpaolo Sirch, della “Simonit & Sirch Vine Master Pruners” e del metodo di potatura con cui si prendono cura dei vigneti delle aziende più prestigiose al mondo (da Château d’Yquem a Château Latour, da Château Angelus a Domaine Leroy, da Hennessy a Louis Roederer, da Biondi-Santi a Ferrari, da Bellavista a Feudi di San Gregorio, da Alois Lageder a Sella & Mosca, ed Allegrini, tra le altre). Simonit spiega, a Winenews, che “le aziende più importanti del mondo cercano sempre di più di portare le vigne ad una certa resilienza perché, con il tempo, riescono ad avere più connessione con il terroir ed a produrre vini che sono la massima espressione del territorio. Ma è difficile trovarle in buone condizioni per la mancanza di un’addomesticazione preventiva, dal farming alla potatura, che ne ha compromesso la struttura”.
Un interesse sull’onda del quale è nata la “Old Vine Conference”, movimento mondiale per valorizzare e salvaguardare i vitigni storici e diffonderne cultura e valori, e che ha messo insieme le aziende che possiedono “patriarchi della vite” in tutto il mondo, per poterne studiare il patrimonio genetico e la resilienza al cambiamento climatico, perché l’industria vitivinicola mondiale possa per il futuro puntare ancora di più sulla qualità dei vini, sulla sicurezza della produzione, e sulla comunicazione al consumatore del valore di tutto questo”, spiega Leo Austen, il co-fondatore con i Master of Wine Sarah Abbott e Alun Griffiths. La Conference, ha riunito, ieri, le aziende “custodi” delle viti monumentali italiane - da San Leonardo ad Aquila del Torre, da Gini a Roeno, da Villa Bogdano 1880 a Zymé, da GD Vajra a Malvirà, da Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy a Vinchio Vaglio, dal Castello di Albola a Fattoria Fibbiano, da Marchesi Antinori a Feudi di San Gregorio, da Alta Mora-Cusumano a Benanti, da I Custodi delle Vigne dell’Etna a Tenute dei Ciclopi, solo per citarne alcuni - all’evento “All of Italy” alla Tenuta Sette Ponti, nel Valdarno in Toscana (c’era anche WineNews: il nostro video-racconto sarà online nei prossimi giorni, ndr). E dove si trova la Vigna dell’Impero piantata nel 1935 da Amedeo di Savoia Duca d’Aosta per celebrare la conquista dell’Abissinia e la nascita dell’Impero Coloniale Italiano, oggi di proprietà della famiglia Moretti Cuseri, a pochi passi da Ponte Buriano, lo sfondo del dipinto più famoso al mondo: “La Gioconda” di Leonardo da Vinci (come abbiamo raccontato in un video).
Del resto, custodire le vecchie vigne è come prendersi cura di un’opera d’arte, “e, per noi, con i suoi 89 anni di età, è la “vigna saggia” che ancora produce, seppur solo 35 quintali di uva, rispetto ai 60-70 di un vigneto in piena forma, ma i suoi grappoli sono pura poesia, e grazie ad un impianto radicale che va molto in profondità ha un modo tutto suo di nutrirsi e raccogliere l’acqua, e un sesto di impianto che arriva quasi a 3,8 metri di larghezza, oggi impensabile per lo spreco di terroir, ma che serviva per far passare i carri - racconta Amedeo Moretti Cuseri, ceo & direttore marketing Italia Tenuta Sette Ponti ed AnimaEtnea, la cantina siciliana della famiglia Moretti Cuseri sull’Etna - per questo abbiamo una squadra che si occupa esclusivamente della potatura del “padre” di tutto il nostro Sangiovese, frutto della sua selezione massale”. Anche “le nostre viti centenarie sono come dei monumenti, richiedono grandi cure e come un’opera d’arte sono un ponte tra passato e futuro, in quanto ci tramandano una tradizione anche in termini di allevamento che è la chiave per piantare le vigne del futuro”, sottolinea Antonio Capaldo, proprietario di Feudi di San Gregorio, in Irpinia, che possiede delle meravigliose e produttive vigne pre-fillosseriche campane (che potete ammirare in un nostro video), “a pergola, di 3 metri, con quasi 180 anni di età, e che rappresentano non solo un patrimonio genetico straordinario che reimpiantiamo nei vigneti nuovi, ma anche forme di coltivazione che erano quantitative più che qualitative, e che oggi sono interessanti per contrastare il cambiamento climatico. Non a caso, tutte le forme di allevamento si stanno evolvendo in miste, tra quelle moderne e super razionali, e quelle antiche che preservavano la pianta magari in maniera più attenta”.
Una vecchia vigna ha, infatti, “reazioni più controllate e lente in risposta ai cambiamenti climatici improvvisi, dalle piogge alle alte temperature, grazie alla profondità delle sue radici. Per la dimensione del tronco e delle radici, poi, ha la possibilità di sostenere le uve in modo diverso, a parità di produzione, di una pianta giovane. La densità di impianto meno fitta consente, quindi, alle piante di nutrirsi anche in condizioni critiche di temperatura e umidità. Ma, soprattutto, rappresentano la storia della loro varietà, per questo si possono anche esaurire in termini economici di gestione, ma non dobbiamo perdere il loro patrimonio genetico, una ricchezza assoluta anche per la diversificazione della stessa varietà. È questa la grandezza delle vecchie vigne”, e, per questo, sono importanti per il futuro del mondo del vino, secondo Renzo Cotarella, ceo ed enologo Marchesi Antinori, storica famiglia del vino italiano, i cui vini-mito nascono da alcuni dei vigneti più antichi di Toscana.
“Oggi assistiamo ad un cambio delle condizioni meteo anche estremo, al quale le vecchie vigne resistono meglio, riuscendo a produrre uve di qualità, perché hanno una capacità di adattamento al territorio, al suolo ed al microclima che le giovani non hanno, e che, come per l’uomo, è frutto dell’esperienza”, aggiunge Alessandro Gallo, managing director Castello d’Albola, la Tenuta con sono vigneti storici e simbolo del Chianti Classico. Ma “non è detto che una vite vecchia sia sinonimo di grande uva e di grande vino - avverte Celestino Gaspari, proprietario di Zymé, cantina veneta che nasce grazie anche alla passione per il recupero degli antichi vitigni autoctoni - dipende da come è stata educata e come ha vissuto. Di per sé non ha bisogno di molto, in realtà, perché ha già una grande capacità di adattamento ai tempi ed al tempo: l’ideale sono ridurre al minimo le operazioni, l’organico perché è naturale, e farla esprimere come può in base alla sua esperienza. Non ha bisogno di altro, ma di essere rispettata. Un po’ come un anziano”.
E se le cantine studiano la resilienza delle viti antiche in un’ottica futura, nel mondo sta crescendo da parte anche degli appassionati l’interesse per i vini che nascono dalle vecchie vigne. “Verso le quali l’approccio è diverso non solo in vigna, ma anche in cantina, come spiega Beppe Caviola, tra gli enologi più affermati nel panorama italiano e non solo, “perché tendono sì a produrre poco, ma la qualità è eccelsa e la complessità dei vini è diversa e riflette molto le caratteristiche del territorio. Per questo le pratiche viticole devono essere molto rispettose nel vigneto, ma anche in cantina dove la tecnica di produzione e vinificazione deve saper esaltare le caratteristiche e le connotazioni specifiche delle vecchie vigne”.
“La bassa resa di questi vigneti regala ai vini profumi e un gusto più decisi, anche grazie alla capacità delle vecchie vigne di adattarsi al clima che cambia - secondo l’autorevole Master of Wine, Susan Hulme - per questo rappresentano realmente il territorio, ed i loro vini sono interessanti perché sono gli unici ad esprimerne appieno le peculiarità di un determinato luogo. Per i wine lovers questo è speciale”. “Le persone amano le storie che raccontano lo sviluppo di un’idea, dall’inizio alla fine, e grazie alle quali stringono un rapporto non solo con gli altri e con i luoghi, ma anche con i prodotti - conclude Danielle Callegari, firma per l’Italia del magazine americano “Wine Enthusiast” - e le vecchie vigne rappresentano le “radici” più antiche della storia del vino”.

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