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Mangiare o non mangiare: questo è il problema. Se le verdure profumano di plastica è meglio digiunare o darsi all’omelette? ... Basta con buste di plastica, se non smettiamo di usarle ci sommergeranno: a fare spesa con il cestino
di Carla Capaldo

Mangiare o non mangiare: questo è il problema … Se le verdure profumano di plastica è meglio digiunare o darsi all’omelette?
Quando rientro dai miei viaggi, sono solita mangiare in modo piuttosto semplice per compensare tutti quanti i pasti al ristorante effettuati durante la trasferta. Così, questo pomeriggio, stavo cucinando dei “friarelli”, le invernali verdure campane che preferisco. Non appena hanno iniziato a bollire ho sporto il naso in pentola per catturare l’aroma ma, invece di sentire il piacevole pungente odore simile alla senape che emanano solitamente i friarelli, sono stata assalita dall’odore di qualcosa che ho classificato appartenere alla famiglia della plastica. Il problema è che nel tegame c’erano solamente le verdure e un po’ d’acqua. Non plastica. Non c’era nemmeno niente sotto la pentola che poteva essersi bruciato.
Il terribile odore proveniva proprio dalle verdure stesse. E questo mi ha fatto soffermare a pensare. Le verdure erano state acquistate dal mio solito fruttivendolo dove la merce viene venduta nelle cassette e non in imballaggi plastificati. Così, se qualche sostanza plastica era nei miei friarelli deve esservi stata introdotta quando crescevano nel campo. Non ho potuto fare a meno di pensare a Gomorra, il libro di Roberto Saviano - dopo tutto i friarelli sono verdure “campane” - dove egli spiega che i camorristi sono così stupidamente avidi che riversano rifiuti tossici nella loro propria terra se possono guadagnare da essa. E’ triste pensare che non possiamo nemmeno più credere che verdure dall’aspetto perfettamente sano non contengano sostanze nocive, per non parlare di quelle tossiche. Ovviamente il problema non riguarda le colture campane più di altre zone della produzione di massa del cibo che mangiamo. Ma che cosa possiamo farci?
Noi tutti mangiamo alimenti che ci piace pensare essere sani. Uno chef mio amico una volta mi dal fermò dal mangiare un grumo su una mela: grumi e deformazioni in natura significano malattia, mi disse. “Il pesce che noi cuciniamo, anche quello più ricercato e costoso, è pieno di tumori, e noi non dovremmo mangiare queste sostanze. Possono essere dannose per il nostro organismo”. Egli, infatti, prima di servire il pesce ai suoi clienti le elimina attentamente.
La mia famiglia si nutre di alimenti da agricoltura biologica, e li produce pure, da decenni. I bambini di mia sorella, che sono cresciuti in America, raramente hanno mangiato cibo non proveniente da coltivazioni biologiche. Paradossalmente è più facile trovare buon cibo biologico a Londra o a Boston o nelle altre metropoli più che nei piccoli centri della campagna del Mezzogiorno italiano. Io faccio il meglio che posso nel sostenere l’irrisoria sezione di cibo biologico nel supermercato locale, ma preferirei di gran lunga acquistare le mie verdure al mercato oppure nelle piccole botteghe locali. E’ un dilemma.
Ho mangiato poi i “friarelli”? Beh, ne ho assaggiato uno e mi sembrava a posto, ma mentre li impiattavo ho lasciato perdere. Non ero convinta. Mi fido del mio naso, se lui mi stava dicendo che c’era un problema con i friarelli, molto probabilmente significa che c’era. Al suo posto mi sono cucinata un’omelette.

Basta con le buste di plastica, se non smettiamo di usarle ci sommergeranno: tutti a fare la spesa con il cestino!
Un’altra nota sulla plastica. Circa due mesi fa ho preso la decisione di eliminare le borse di plastica dalla mia vita. Non solo smettere di usarle, ma smettere di prenderle durante la spesa. Casa mia, come quella di chiunque altro, sta diventando oberata, soffocata da borse ripiene di borse. Perfino il pianeta sta soffocando sotto le borse di plastica. Sembra che siano necessari circa trecento anni ad una borsa di plastica per disintegrarsi, scomparire o qualsiasi cosa sia necessaria ad una borsa per morire.
Smettere è più dura di quanto sembri. Non perché sia difficile ricordarsi di prendere un cestino quando vado a fare la spesa: non è molto difficile farlo. Il problema è che i negozianti qui non sono d’accordo. “No, grazie. Niente borse di plastica per l’uva”. Dico perentoria. “E dove dovrei metterla quindi?” “Nel cestino, sopra le carote e la lattuga.” “Ma si mescolerà tutto!” “Non c’è problema, la riordinerò a casa”. E così via.
Infatti, dopo averlo fatto le prime volte, con il mio piccolo fruttivendolo di fiducia in Irpinia, il negoziante, il Signor Angelo, il quale aveva chiaramente riflettuto sul mio ragionamento, se ne uscì con un’obiezione: “E i produttori di borse di plastica? Se tutti nel mondo smettono di usarle, che ne sarà di loro?”.
La settimana successiva mi disse: “Signorè. Credo che siate davvero una minuscola minoranza a pensarla così. Forse una persona su un milione.” “Può darsi”- gli ho risposto - ma bisogna pur cominciare da qualche parte”. Qualche anno fa in Italia nessuno riciclava la propria spazzatura, adesso, invece, lo fanno tutti in automatico (in Irpinia, abbiamo un’efficientissima raccolta differenziata).
Adesso quando entro in un negozio con il mio cestino, i negozianti sanno cosa fare; tuttavia sono abbastanza sicura che quello che è stato detto in paese a questo riguardo è: un’altra bizzarra usanza della giornalista.
Per di più, la scorsa settimana ho trovato su “La Repubblica” un bell’articolo sulla medesima questione, riguardo alle città inglesi che hanno bandito le borse di plastica. Mi sono ripromessa di fotocopiarlo e distribuirlo ad un sacco di persone in paese. Chissà, forse riusciremo a smuovere le acque.

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