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IL “SALONE” FA I CONTI CON LA CRISI: MENO RISORSE PUBBLICHE, MA NESSUN “RISCHIO CHIUSURA” COME SI E' MORMORATO. BURDESE: “PENSIAMO POSIVITO, PUNTARE SUI PRIVATI, MA NON SI FANNO “NOZZE CON FICHI SECCHI””. COTA: “IL SALONE RESTA A TORINO” ...

Italia
Roberto Burdese

Nessun rischio di chiusura per il Salone del Gusto, come si è mormorato nel giorno di apertura. Nonostante la mancata copertura dei costi da parte degli enti pubblici e degli sponsor. E nessuna
opportunità di un “possibile scippo dall’Expo di Milano”. “Abbiamo organizzato il “Salone del Gusto” e “Terra Madre” avendo a disposizione molte meno risorse degli anni passati - spiega a WineNews Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia - con una riduzione concordata con la Città di Torino e con la Regione del 10% per Terra Madre e del 20% per il Salone. Il contributo del Ministero per gli Esteri e la Cooperazione Internazionale purtroppo è venuto completamente meno per tagli di bilancio del Governo, e si è drasticamente ridotto, nelle ultime 2 edizioni, anche quello del Ministero dell’Agricoltura. Noi abbiamo comunque cercato di fare due eventi più belli che mai, ma è chiaro che siamo al punto di galleggiamento, se dovessero diminuire ulteriormente i contributi sarebbe difficile mantenere il livello di qualità dell’evento, ma non disperiamo. Noi da un lato abbiamo una strategia di accogliere graduali e eventuali riduzioni di contributi pubblici, perché in futuro sarà così per tutti, e dall’altro le parole del sindaco di Torino Chiamparino, del presidente della Regione Piemonte Cota ci confortano, e c’è anche la presenza, per la prima volta, dell’Unione Europa, quindi pensiamo positivo. Certo che se questo processo di riduzione di risorse accelera e la prossima volta vengono completamente meno i finanziamenti di qualche altro ente, non è che si fanno “le nozze coi fichi secchi”.

Gioco forza, servirà sempre di più un maggior coinvolgimento dei privati. Come si stanno relazionando i grandi gruppi del food & beverage con Slow Food?

“I grandi sponsor storici ci sono ancora, come Lavazza per esempio. Altre grandi aziende siamo noi a non contattarle, perché non avrebbero un ruolo qua dentro, ma non ci sono boicottaggi. Certo, le nostre politiche a qualcuno danno fastidio, come a chi sostiene gli Ogm. In ogni caso, in futuro la nostra azione dovrà essere supportata soprattutto dal privato. Se io fossi un capitano d’industria di un’azienda alimentare per il futuro mi preoccuperei non tanto di inventare l’ultima “diavoleria” tecnologica per avere qualcosa di diverso dalla concorrenza, ma mi preoccuperei di educare dei consumatori per avere dei clienti consapevoli e anche “sani”, perché la crisi non è dovuta solo al mercato e alla sovrapproduzione, ma anche al fatto che non siamo più in una situazione equilibrata. Gli Usa, per esempio, hanno il problema alle massime conseguenze, con obesità e diabete che sono una pandemia, e se quella è la situazione non ci sarà più mercato per chi produce cibo, ma solo per chi produce medicina. In futuro ci saranno meno risorse, pubbliche e in generale, e tutti devono fare un po’ di “dieta”. Noi l’abbiamo già fatta, tagliando i costi e mantenendo la qualità dell’evento, e si possono fare anche cose migliori con meno risorse, a volte, mettendo più impegno di idee e creatività. Certamente chi ha i cordoni della borsa deve fare delle scelte: se prima si finanziavano tutti ora bisogna fare selezione. Non dico che noi siamo i più “belli” e bravi, ma è sotto gli occhi il valore di questo evento, la ricaduta d’immagine positiva per il cibo italiano e per l’economia del territorio. E se le scelte saranno equilibrate, io sono tranquillo. Se invece passa avanti qualcos’altro, forse si perdono delle occasioni...”.
A sposare la linea della tranquillità anche il fondatore di Slow Food, Carlin Petrini: “c’è una crisi generale del Paese, e anche Slow deve prenderne atto, e per questo cercheremo di mantenere la qualità senza perdere lo spirito. Più che i soldi sono le idee che contano. I privati? Stanno partecipando più del solito, e questa è la novità, c’è più sensibilità”.
Sul ventilato “scippo” del Salone del Gusto da parte dell’Expo di Milano, a spazzare via ogni dubbia ci pensa il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota: “Il Salone del gusto, per forza, si deve fare a Torino. Cibo ed agricoltura sono una parte importante della nostra identità piemontese e questa è la ragione per dire che questo Salone dovrà sempre svolgersi a Torino. Cibo ed agricoltura rappresentano anche una importante occasione di promozione del nostro territorio. L’economia del nostro territorio si basa su due pilastri entrambi importanti: l’industria e l’agricoltura e bisogna muoversi in questa direzione”.

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