Che Montalcino e non solo Castello Banfi sia sinonimo di vino è un fatto ormai acclarato. Di più. Probabilmente senza la forza propulsiva dell’azienda della famiglia Mariani, magari oggi dovremmo fare i conti con un Brunello di Montalcino un po’ meno affermato. Poi ci sono i numeri: una produzione complessiva di oltre 10 milioni di bottiglie, un vigneto di 800 ettari e una proprietà di 2800 ettari a corpo unico, tra le più significative in Italia. Eppure Banfi non è soltanto vino. Per un’azienda di tale rilevanza, infatti, non può certo mancare una strategia che metta in atto anche una diversificazione della produzione. Ecco allora campi di Senatore Cappelli (che il pastificio Fabbri trasforma in ottima pasta), olio extra vergine di oliva, miele dai boschi e vigneti di proprietà e infine le prugne essiccate. Nella parte più bassa dell’azienda, vicino al fiume Orcia, Banfi ha infatti 77 ettari coltivati a pruneto della varietà Ace di cui è il più grande produttore italiano (e socio di maggioranza della Monte Rè, cooperativa modenese, dove viene effettuato l’impacchettamento). L’azienda compie l’intero processo produttivo dalla coltivazione all’essiccamento (in quattro forni ad hoc), alla selezione per pezzatura. Le prugne dopo essere state lavate, rimangono per 18-22 ore a circa 80 gradi a seconda della grandezza e della maturità. Stoccate in celle frigorifere, vengono poi cernite per pezzatura. Una produzione che incrocia lavoro manuale e alta tecnologia e che soltanto uno sguardo superficiale può considerare un’attività meramente collaterale della cantina più grande di Montalcino.
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