A Linguaglossa, sulle pendici dell’Etna, la salsiccia si prepara sul ceppo, una sezione di tronco di quercia. In dialetto si chiama “chianca”, lo stesso temine dialettale che indica l’albero: un tempo ogni macellaio siciliano aveva la sua “chianca” per lavorare la carne e ancora oggi, in molte parti dell’isola, il macellaio è detto “chiachiere”. La tradizione della lavorazione al ceppo, però, è rimasta salda solo a Linguaglossa: qui, ancora oggi, i macellai lavorano su questo piano di legno. L’ingrediente base della salsiccia al ceppo di Linguaglossa è un mix di tagli di coscia, pancetta, guanciale, lardo e capocollo, che vengono ridotti in pezzi piccolissimi con il “partituri” (un coltello locale) e poi impastati a mano e conditi con sale, pepe nero e semi di finocchietto selvatico. La dose di ciascun taglio cambia in ogni ricetta ed è un po’ come la firma del singolo macellaio. In alcuni casi, la preparazione classica è arricchita con qualche altro sapore: un pizzico di cipollotto o pomodoro semisecco e provola stagionata. L’impasto si insacca nel budello naturale e si lega con uno spago, formando corde di salsicce lunghe circa due metri. La salsiccia al ceppo di Linguaglossa, che è Presidio SlowFood, si mangia fresca e cotta, ma alcuni macellai la appendono per una essicazione leggera che dura 20, 25 giorni. Tre soltanto i produttori, rigorosamente di Linguaglossa: Pennisi, Bottega della Carne e Sfizi di Sicilia. Ottima l’interpretazione della Salciccia al Ceppo di quest’ultima macelleria, capace di restituirne l’intrigante sapore e profumo.
(fp)
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