Pare che il Grana Padano abbia origini monastiche. Nel Basso Medioevo la bonifica delle terre milanesi portò i monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle ad avere un surplus di latte: per tentare di conservarlo lo cossero e lungo, aggiungendo caglio e sottoponendolo a salatura, e ottennero un formaggio a pasta dura che migliorava col tempo. La sua produzione presto si diffuse, grazie alle sue caratteristiche che lo resero prezioso anche durante le carestie: si conserva a lungo inalterato ed è ricco di proprietà nutrienti; la gente, per via della sua pasta compatta a granelli bianchi, iniziò a chiamarlo “grana”. Divenne così un pilastro dell’economia agricola arrivando fino a noi. Per custodirlo nel 1954 nasce il Consorzio di Tutela, mentre la Dop viene riconosciuta nel 1996. La zona in cui è ammesso produrlo è ampia (Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto eccetto Belluno, Romagna e piacentino e infine in alcuni comuni dell’Alto Adige) e la produzione significativa, con quasi 5,5 milioni di forme prodotte nel 2023, grazie a 145 aziende consorziate e 3.726 aziende conferitrici. Ne fa parte anche il caseificio San Giorgio, nato nel 1998 come filiera completa certificata grazie ai terreni, un paio di migliaia di capi, la stalla e il caseificio: l’unico a livello nazionale. Oggi gestiscono l’azienda le figlie del fondatore - Roberta, Stefania e Daniela Conti – con le nipoti, continuando questa sorta di anonimato impostato dal padre: niente sito, niente punto vendita, niente marchio. Il loro stagionato 16 mesi, ma anche 20 e 24, si può riconoscere se si ha fortuna solo dalla marchiatura 508/BG.
(ns)
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