La luce è la prima cosa che si nota sedendosi ai tavoli estivi di Podere Arduino: non ci sono muri a ostacolare lo sguardo, non c’è cemento fra la terra e i piedi. La brezza arriva dove vuole e anche le chiacchiere si distendono più facilmente. La gentilezza dei gesti che servono e delle parole che spiegano, si ritrova anche nei sapori e nella consistenza dei piatti: colorati, divertenti, armoniosi, suscitano domande. Perché la genuinità è palpabile e, scavando si capisce il perché. Fabrizio Bartoli e Michela Morelli hanno girato per il mondo e per le loro passioni prima di approdare qui e mettere in pratica un’agricoltura rigenerativa, dove ogni specie, varietà e animale (uomo compreso) contribuisce al benessere del podere. La cucina del ristorante è vegetariana, trasformata dal fuoco - sotto forma di essicazione, affumicatura, cottura con cenere o griglia - e arricchita dai sapori della terra che coltivano. Gli ettari di campagna in cui attuano il “non fare” sono otto in totale: ci sono olivi (delle cultivar Frantoio, Moraiolo e Leccino), un po’ di vigna, c’è posto per il pascolo di galline, capre e pecore, e per 500 alberi da frutto, fra cui anche varietà antiche autoctone. Il modo per portarsene un pochino a casa, di questa agricoltura custodita, è attraverso “l’orto in barattolo”: una parte del raccolto viene infatti trasformato in conserve, salse, creme e marmellate, gustose e pronte all’uso. Qualche esempio: cipolle caramellate, confettura di pesca, marmellata di arancia e pepe rosa, babaganoush, peperone piccante, giardiniera e pommarola. Pasta? Anche.
(ns)
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