Trovarne una, stapparla e trovarla in forma come sognavi, e com’è giusto che sia quando qualche conservazione sciagurata non ne ha tarpato la vita, è vera emozione. Anzi, due. Quella intellettuale, quasi “archeo-enoica” di sondare viscere e origini della gloria, oggi trionfale, dell’Etna, e che da bottiglie e marchi come questo ha tratto impulso. E quella pura dell’assaggio. Di questo bianco da solo Carricante, raccolto sul lato est del vulcano, zona Milo, a fine ottobre in annata piovosa, non facile, che ha frenato e attardato la maturazione. Ma che, per chi ha saputo attendere e rinunciare, è stata foriera d’acidità nitide e vitali. A fare i vini da Benanti, con l’enologo resident (e oggi in breccia) Enzo Calì c’era allora anche il “profeta” Salvo Foti. Dal loro lavoro, ecco questa pietra (nomen omen) non scheggiata, semmai solo bulinata dal tempo. Ha naso non immediato, poi lento, di fungo secco (da Borgogna agée) e frutta disidratata. Si dilata (ma sempre restando snello) e si colora quindi di pera e giuggiola, al palato “condite” da masticabile resinosità, sottobosco e ancor tesa spina acida. Un gran vino di (supposta) piccola annata.
(Antonio Paolini)
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