Niente compromessi. Un fortissimo legame (di famiglia) col territorio, sia antropologico che agricolo. Idee chiare (e scomode) difese a schiena dritta. Un uomo colto e ruvidamente schietto, ma capace di grande umanità e generosità. Beppe Rinaldi non è stato solo un grandissimo produttore di Barolo “vecchia maniera”. Tramite il suo lavoro ha difeso, sì, un'idea di vino, ma anche un'idea di terra e di società. Si è esposto in prima persona (forse anche soffrendone l'impegno e le aspettative che ne conseguirono) per tentare di ridimensionare scelte dettate dal mercato, ormai egemonico: dalla tendenza a piantare il richiestissimo Nebbiolo anche in terreni non tradizionali, all'aumento stesso della superficie vitata (in barba all'erosione del terreno); dalla speculazione sul valore dei terreni e dei vini, alla perdita di coesione umana conseguente alla ricchezza (troppo veloce) che ha investito la sua Barolo. Tutto questo ci diceva Giuseppe Rinaldi. Anche col suo vino: diritto, ma profondo. Che richiede attesa: per svelare la sua incredibile complessità aromatica e corporea; per ricordare il suo messaggio (ancora) rivoluzionario.
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