Umani Ronchi ha meritato e continua a meritare senza dubbio un posto di primo piano tra i protagonisti della nostra rubrica più prestigiosa, ovvero quelle delle eccellenze che si distinguono, per lignaggio e qualità, nel panorama vitivinicolo del Bel Paese. Una cantina e un parco vigneto di dimensioni ragguardevoli - 240 ettari a vigneto, coltivati a biologico - un progetto che ha il volto di una famiglia, e la risposta convincente a chi si chiede se sia possibile unire numeri non confidenziali - le bottiglie prodotte sono 2.900.000 - tipicità e qualità. Merito dei Bernetti, dunque, e di uno staff di prim’ordine, affiatato e coinvolto in ogni passaggio. Merito della natura, traslata in vigne oggi modello (e che hanno messo radice anche al di là dei confini marchigiani nel 2000, con i vigneti abruzzesi tra Roseto degli Abruzzi e Morro d’Oro e la realizzazione, sempre a Roseto, di una nuova cantina appena un anno fa). Ma c’è di più. Una griffe è tale se riesce ad essere protagonista nel mondo, partendo tuttavia dalle radici territoriali e dalla cultura del luogo d’appartenenza (anzi dei luoghi di appartenenza, Jesi e il Conero). Ed Umani Ronchi lo ha sempre fatto, instaurando un legame “intimo” con la terra e le varietà coltivate. Senza inutili clamori, ha costruito un approccio produttivo solido e costante, una cifra stilistica per i suoi vini sobriamente moderna ma mai eccessiva o, peggio ancora, di intralcio a quel legame. Una piena sintonia con i vini bianchi, che alle nostre latitudini spesso non trovano la più adeguata interpretazione, cimentandosi con i rossi con un altrettanto meritorio gusto per la finezza più che per la sterile esaltazione delle loro caratteristiche più appariscenti. Dal ricco portafoglio aziendale, potevamo scegliere un’etichetta ancora più prestigiosa. Ma abbiamo scelto il Verdicchio dei Castelli di Jesi Casal di Serra, perché è un vino che riesce a sintetizzare nel bicchiere quanto abbiamo appena detto. Nato agli inizi degli anni ‘80, è senz’altro uno degli emblemi di questa filosofia produttiva ed è una delle prime (riuscite) selezioni di Verdicchio della storia della denominazione. La versione 2019, come era prevedibile anche per la qualità dell’annata, non delude ed anzi riconferma la stoffa di questo vino, che in tanti anni non ha mai dato cenni di indebolimento. Già il colore appare perfetto, brillante, giallo e ancora verde. Al naso, i profumi di pesca gialla, melone, burro e nocciola sono fragranti e si succedono con limpidezza. In bocca, il sorso è pieno, ricco, di grande sapore e vivacità, che va a chiudersi con un finale tipicamente ammandorlato.
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