Di Carlo Ferrini sappiamo quasi tutto a proposito del suo significativo impatto sui destini del vino italiano, esercitando il mestiere di enologo consulente. Meno sappiamo delle sue vere passioni enoiche. Ma, guardando a quali zone ha scelto per diventare lui stesso produttore, forse qualcosa in più la capiamo. Montalcino da un lato e l’Etna dall’altro, lo svelano come un appassionato amante del vino, così semplicemente. Una scelta precisa che mette insieme due degli areali più intriganti dello scenario enoico nazionale, entrambi animati da due protagonisti ben leggibili, il Nerello Mascalese e il Sangiovese, vitigni capaci di dare vita a vini originali e riconoscibili. La sua azienda nasce una quindicina di anni fa e diventa quello che è oggi, gradualmente. Prima perfeziona la sua fisionomia nella parte che insiste sulla denominazione del Brunello di Montalcino e subito dopo lavora a quella che ha come protagonisti i vigneti ad alberello, anche pre-fillosserici, sulle pendici dell’Etna. Il nome dell’azienda - Giodo - è un omaggio di Ferrini ai propri genitori, Giovanna e Donatello, e a proseguirne la connotazione familiare troviamo in azienda anche Bianca, la figlia di Carlo. Il vigneto etneo si compone di circa due ettari (da cui si ottiene una piccola produzione che si attesta nell’ordine delle 7.000 bottiglie), spezzettati in diversi piccoli appezzamenti, in prevalenza vecchi impianti ad alberello anche pre-fillosserici e quindi anche a piede franco tra gli 80 e i 100 anni d’età, posti tra i 900 e i 1.000 metri di altezza sul livello del mare e sul versante nord del vulcano (le operazioni di vinificazione, invece, per adesso, si svolgono nella cantina di Pietradolce, azienda dove Ferrini ha una consulenza e un’amicizia ormai consolidate). Dicevamo del Nerello Mascalese protagonista assoluto dell’esperienza etnea di Ferrini, che si condensa in un’etichetta (prima annata 2016) da subito diventata una delle espressioni migliori di questa varietà nel contesto del vulcano e caratterizzata da un’esecuzione impeccabile, al contempo, capace di raccogliere tutte le suggestioni più intime dei vini etnei. Ma a questo primo vino si affianca anche un Carricante in purezza (prima annata 2020), che non è certo da meno, rappresentando il lato enoico bianchista dell’Etna. La versione 2021 alla vista si mostra di un colore paglierino intenso dai riflessi brillanti. I suoi profumi sono fini ed eleganti, segnati da un bel tono minerale fumè, a cui seguono sentori di erbe di montagna, frutti gialli, agrumi e gelsomino. Gran bella bocca ampia e setosa, fresca e sapida, che registra un preciso ritorno del frutto e un bel finale agrumato.
(are)
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