Gli spumanti italiani, che, negli ultimi anni, hanno davvero fatto il botto, devono il loro successo al fatto di essere la tipologia che identifica la nostra epoca, perché rimandano immediatamente alla convivialità e alla festa, incrociando, senza snaturarsi, la cucina tradizionale e quella contemporanea, adattandosi alle occasioni importanti o a momenti più disimpegnati. Quasi un “non vino”, verrebbe da dire, tutto orientato sull’immediata piacevolezza, la bevibilità e la freschezza. E tra le varie proposte che arrivano un po’ da ogni parte dell’Italia enoica, il Prosecco (nella sua identità, “una e trina”: Doc e Docg Superiore, con Asolo e con Conegliano e Valdobbiadene) gioca decisamente il ruolo di protagonista assoluto. A dirlo numeri e dati ormai consolidati: è il vino più venduto in Italia e nel mondo, dove è un simbolo del made in Italy; negli ultimi 15 anni ha trainato l’economia del vino italiano, sfondando il tetto di 1,8 miliardi di euro a valore e contribuendo ad aumentare il fatturato complessivo degli spumanti italiani - il vino con il prezzo medio più alto al litro (più di 7 euro) - di qualcosa come 2 miliardi di euro, con un export a +276% (dati Del Rey Analysts of Wine Markets). Un vero e proprio fenomeno, caratterizzato dall’essere “pop” ma non banale, coniugare un’immagine accattivante e un’amplissima diffusione, dimostrandosi un vino versatile, capace di diventare un “ingrediente” ormai irrinunciabile della mixology, andando anche al di là anche al classico spritz. Una sfida vinta anche grazie ad una denominazione grandissima come il Prosecco Doc, che abbraccia più regioni e comprende oltre 12.000 aziende dislocate in un territorio dove convivono anche altre denominazioni, e che è cresciuta di più dello Champagne e del Cava, raddoppiando volume e valore.
Buona lettura,
(fp)
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