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VINO ARCAICO

Alle origini dell’enologia, Nesos, il vino marino ottenuto da Ansonica vinificata come 2.500 anni fa

Dall’Elba il progetto tra la cantina Arrighi e le Università di Milano e di Pisa, per ricostruire il percorso della vigna attraverso il Mediterraneo

Un vino nuovo di 2.500 anni fa. Così si potrebbe definire il Nesos, produzione enologica dell’Isola d’Elba, ottenuta lasciando le uve di Ansonica in mare per cinque giorni. 40 bottiglie e un patrimonio storico culturale lungo quanto il percorso della vite nel mondo. Il progetto di riportare in vita un vino perso nella storia nasce dalla collaborazione tra Antonio Arrighi, vignaiolo elbano, il professore di viticoltura all’Università statale di Milano, Attilio Scienza, e Angela Zinnai e Francesca Venturi del Corso di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Pisa.
Il vino Nesos è ottenuto da uve Ansonica, tipico vitigno elbano a bacca bianca, raccolte nella vendemmia 2018 e lasciata per cinque giorni in mare a dieci metri di profondità, rigorosamente all’interno delle nasse di vimini, per fare poi 6 mesi in anfora di terracotta. La previsione di produzione 2019, che vede immerse in mare anche le uve di Aleatico insieme all’Ansonica per un totale di tre giorni di contatto con il mare, è di triplicare il numero di bottiglie, andando ad ipotizzare in futuro una commercializzazione.

L’intenzione del progetto è quella di promuovere l’Isola d’Elba, con un’operazione che possa portare all’attenzione del turista estero un patrimonio esperienzale sia da un punto di vista culturale che gustativo.
Con un gusto salino, rotondo e floreale e il vanto di essere la versione moderna del “Vino dei Ricchi” come lo storico latino Varrone definiva il vino dell’Isola di Chio, che, secondo Plinio Il Vecchio, Cesare offrì nel banchetto per celebrare il suo terzo consolato, in quanto affinato a differenza della maggior parte del vino greco, rigorosamente in anfora. Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico - unica garanzia per sopportare i trasporti via mare - ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno. Nesos è stato anche raccontato in un cortometraggio, “Vinum Insulae”.

Firmato dal regista Stefano Muti di Cosmomedia produzioni, la pellicola si è aggiudicata, in Francia, il primo premio al concorso 26° Festival International Enovidéo di Marsiglia ed è attualmente in concorso anche alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, nelle Giornate europee del turismo del vino.
“Dai nostoi, ovvero i viaggi di ritorno, delle grandi spedizioni dei greci raccontate nei miti, nasce la viticultura in Italia. In tutti luoghi, ricostruiti delle tappe di Ulisse si sono ritrovati materiali adatti per il consumo di vino. È una storia che inizia da qui, dalla corrispondenza tra mito e storia. Ora il nostro compito è quello di riportare il mito nella contemporaneità. Così come i greci parlavano degli elementi della natura attribuendo ad essi significati mitologici, noi parliamo di sostenibilità”, ha detto il professor Attilio Scienza, nella presentazione del Nesos a Villa Fabbricotti, sede istituzionale di Toscana Promozione Turistica, organizzato insieme a Vetrina Toscana e Fondazione Sistema Toscana. “L’espansione della vigna e delle nostre varietà - ha aggiunto Scienza - ha radici nell’essenza selvatica delle vigne, i greci hanno innovato il principio della coltivazione. Nell’Isola di Chio, avevano inventato un vino con un affinamento più complesso rispetto agli altri vini greci. E veniva commerciato in anfora”.
Di questo vino, vendemmia 2018, come detto, sono state prodotte solo 40 bottiglie, l’ultima vendemmia, la 2019, è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce. Dalle analisi svolte dall’Università di Pisa è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.
Il legame di questo vino mitologico con l’isola d’Elba è anche di tipo storico. Come tutti i commercianti greci anche quelli del vino di Chio, facevano scalo sulla via del ritorno in patria, all’isola d’Elba e a Piombino, per caricare materiali ferrosi, venendo quindi a contatto con il mondo etrusco. I ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio.
Inoltre, analizzando il Dna di un set di vitigni dell’Isola del Giglio e della Toscana tirrenica e confrontandoli con altri provenienti dal bacino del Mediterraneo, i ricercatori dell’Università di Milano hanno trovato notevoli analogie genetiche tra il vitigno Ansonica-Inzolia e due vitigni provenienti dall’Egeo orientale, il Rhoditis ed il Sideritis.
La particolare vocazione enologica dell’isola dell’Arcipelago toscano è documentata da Franco Cambi e Laura Pagliantini dell’Università degli studi di Siena, co-direttori dello Scavo archeologico della villa rustica romana di San Giovanni, nella rada di Portoferraio. Gli scavi, infatti, hanno portato alla luce delle anfore vinarie e in particolare i dolia defossa: grandi vasi interrati che contenevano ciascuno più di mille litri. I cinque doli ritrovati potevano contenere 6.000 litri. E ora, in quelle acque, si prova a far rivivere un vino dal passato millenario.

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