L’Amarone è ormai un vino che può essere definitivamente descritto come un prodotto moderno con il cuore antico, o, come lo definirono in Usa agli albori del suo successo “the gentle giant” (il gigante gentile). Già, perché stiamo parlando di un vino dall’intensità da primato, capace di convivere con quella speciale dolcezza, che è il tratto distintivo di questo rosso. Un vino ottenuto da un processo produttivo antico, benché affinato nel corso degli anni - l’appassimento - che, al contempo, non può snaturare la sua finalità, nata quando, per toccare la questione più dirompente, le condizioni climatiche della Valpolicella erano assai diverse. Ed è proprio su questa questione che si concentrano possibili criticità, mentre non mancano realtà produttive alla ricerca di una dimensione stilistica più moderna, verrebbe da dire; realtà le cui radici rimandano ad un passato ancora più lontano (Cru, strategie di affinamento meno convenzionali, utilizzo di vitigni di antica coltivazione anche minori, etc.). Ad oggi, l’Amarone resta un vino moderno per la sua capacità di catturare i palati dei nuovi mercati, prima degli Usa oggi della Cina, grazie a quella sua dolcezza di fondo che, lo porta senz’altro lontano dal suo nome (che deriva dalla parola “amaro”, adottata per distinguerlo dal dolce del Recioto della Valpolicella da cui ebbe origine). Tant’è che negli anni ’80 era semplice incontrare Amarone con zuccheri residui intorno a 8-10 g/L ma ancora nel Nuovo Millennio si possono lasciare 5 g/L di zuccheri negli Amarone. Una caratteristica questa che è il successo stesso dell’Amarone, ma che, con il clima che cambia e, soprattutto, con i gusti in evoluzione, potrebbe trasformarsi in qualcosa d’altro.
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