In generale, le Marche del vino, sono un caleidoscopio articolato e ancora non del tutto scoperto e/o apprezzato per quello che merita, fatto da una pluralità di vitigni e territori, dove esistono un numero non secondario di produttori, in maggioranza medio-piccoli e che non mette in commercio quasi mai grandi volumi. Se da un lato questo elemento, peraltro in piena sintonia con la struttura storica dell’enologia tricolore, mostra l’anima più profonda dell’artigianato enoico anche di questo areale, dall’altro adombra, in un certo senso, il potenziale reale dei vitigni della Regione, primo fra tutti il Verdicchio. Intendiamoci, molto è stato fatto, pensiamo all’opera meritoria dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, ma molto è ancora da fare. Confortante, però, il fatto che i Castelli di Jesi e Matelica non abbiamo mai, nel recente passato, mostrato tentennamenti e i tanti produttori abbiano offerto con continuità una molteplicità di stili e una proposta qualitativa costantemente livellata verso l’alto, creando condizioni per evitare situazioni cristallizzate. Anche qui, infatti, la sfida è la stessa che interessa tutta la produzione a denominazione del Bel Paese: creare un binomio inscindibile tra vitigno e territorio, unica risposta efficace alla globalizzazione, peraltro in fase calante, imposta dalla straripante diffusione delle “noiose” varietà internazionali. Il percorso non è ancora compiuto neppure nelle Marche (per questo occorrono tempo, investimenti e un impegno costante), ma la Regione nel suo complesso e il Verdicchio in particolare, non sembrano essere distanti da questo traguardo.
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