Eh già, l’Italia è diventata il quarto mercato per lo Champagne. Una bella gatta da pelare per le bollicine nostrane. Un banco di prova anche per il Trentodoc che, probabilmente, rappresenta l’esempio più significativo dell’arte spumantistica a Metodo Classico. Si tratta di un vino ben definito dal punto di vista stilistico, cha fa ben risaltare le sue caratteristiche con una leggibilità già molto chiara. In altre parole, gli spumanti trentini non solo sono buoni, ma riescono anche a trasmettere una territorialità, fatta di vigneti in altura e di un microclima di montagna. Sono, insomma Metodo Classico con una loro originalità, pronti sempre a ben figurare. Hanno una produzione circoscritta e circoscrivibile con un buon margine di precisione, quantitativi non troppo generosi in termini di bottiglie e una precisione d’esecuzione, molto spesso, rigorosa e ormai collaudata. Ingredienti importanti ed invidiabili che tuttavia non sono ancora riconosciuti proprio dai consumatori nazionali, esterofili per eccellenza e anche un po’ provinciali. A tutto questo, però, vanno aggiunti alcuni particolari da migliorare o meglio da affinare. Prima di tutto, un lavoro più accurato e meno “industriale” sui lieviti, i veri protagonisti della rifermentazione in bottiglia, che vengono decisamente prima anche della stessa materia prima. Poi i legni, con il loro uso sempre un po’ accentuato nelle etichette italiane. Ed infine, i dosaggi. Anche se è pur vero, che i “non dosati” tra gli spumanti trentini sembrano conoscere uno sviluppo dilagante. Insomma, c’è ancora da lavorare ma in un contesto decisamente favorevole e per di più in una fase in cui resistere alle bollicine è sempre più difficile.
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