“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar…”. Così inizia Davanti a San Guido di Giosuè Carducci, primo poeta italiano Nobel nel 1906. Non sbagliamo, tuttavia, a pensare che non sia stato lui l'unico “responsabile” del “boom” bolgherese. È merito di Mario Incisa della Rocchetta allora, che impiantò del Cabernet a Castiglioncello di Bolgheri nel 1944, come di Antinori che lo commercializzò. Certo, ma solo in parte. Bolgheri come Bordeaux, come Napa Valley? I rimandi alle analogie varietali e produttive complicano, semmai, la questione. C’è invece come un segreto nel successo di Bolgheri, qualunque sia la prospettiva da cui si guarda alla cosa. Forse, l’entrata in crisi dei “Supertuscan”, nel 2008, ha definitivamente spianato la strada ai vini bolgheresi (ci chiediamo però perché la stessa cosa non sia avvenuta anche a Carmignano). Oppure, il loro essere così “internazionali” li ha resi vincenti sui mercati di qualunque latitudine. Probabile, ma non solo. Oppure ancora, la concentrazione in quel territorio di “grandi firme” dell’enologia, che ha reso la zona un punto di riferimento senza ritorno (ma la presenza di grandi nomi è una costante in quasi tutta la Toscana enoica). O forse, la bellezza del luogo, così irresistibile da bastare da sola alla diffusione dei suoi vini (la Toscana però, in quanto a bellezza delle zone viticole, non è certo esemplificabile soltanto attraverso la, se pur suggestiva, costa livornese). Sono questi, insomma, tutti elementi veri, ma parziali, non sufficienti a spiegare completamente il successo enologico di Bolgheri. Manca sempre un “quid” impalpabile quanto sottile. Lasciamolo dov’è, allora, caso mai si dovesse rompere l’incantesimo.
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