In Sicilia fa caldo, anzi, ha sempre fatto caldo. Un dato climatico che, nel recente passato, ha decretato il successo dell’isola come affidabile “serbatoio” per vini da taglio, almeno fino ad una trentina di anni fa. Poi il boom: cantine, vigneti e, soprattutto, vino finalmente imbottigliato in loco e commercializzato. Uno sviluppo che ha visto molte cantine dell’isola protagoniste di un percorso virtuoso, che ha portato il vino tra le produzioni più importanti della Sicilia. Un successo che è cresciuto grazie ai modelli economici più convincenti, ma anche a quelli enologici più moderni. Il più seguito, quello che potremmo definire “nuovomondista”: vini da vitigno, con gli internazionali a ricoprire il ruolo di protagonisti e con quelli locali talvolta un po’ ai margini, invecchiamenti quasi sempre in legno piccolo. Un modello che ha conosciuto il suo successo e che, come accade per tutti i fenomeni umani, oggi, anche sui mercati, sta conoscendo una fase di decrescita. Un modello che, anche dal punto più squisitamente tecnico, sembra cozzare con l’attuale impazzimento climatico. Meno male che anche in Sicilia si è consapevoli del problema. I passi in avanti tecnologici - e non solo - non sono mancati e, soprattutto, è tornato protagonista anche un positivo e deciso fenomeno di riscoperta dei vini di territorio, oggi sempre più protagonisti dei mercati. I tempi cambiano ed una seria e rigorosa attenzione a tali dinamiche vede inevitabile l’affidarsi, al contempo, alla tradizione (vitigni tardivi e legno grande, recitava un vetusto ma efficacissimo “riassunto” delle caratteristiche dell’Italia del vino) e all’innovazione soprattutto dei canali e dei modi di vendere il vino.
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