Dal 2009, il Prosecco ha trovato la sua nuova formula, con la Doc Prosecco, la Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco e la Docg Colli Asolani Prosecco, sconfinando dal Veneto verso il Friuli per comprendere la frazione di Prosecco, nel Comune di Trieste - ancoraggio geografico necessario per la tutela delle denominazioni Europee, che proteggono l’origine del vino, e non il vitigno - da subito diventando locomotiva economia dell’Italia enoica. Con le tre denominazioni ad inanellare una serie di numeri da record in costante crescita. Un fenomeno che, in 15 anni, è diventato un affare, ma forse non ancora una certezza. C’è il Conegliano Valdobbiadene, con la sua viticoltura eroica nelle “Rive”. C’è la grande Doc “di pianura”, che fa da locomotiva con la forza dei suoi numeri, diffondendo nel mondo il nome Prosecco. E c’è l’enclave di Asolo, dalla lusinghiera crescita qualitativa. Tre realtà diverse, unite sul fronte della tutela (come indica il caso del “Prosek”), ma non esenti da diatribe interne (come nel caso dell’utilizzo del termine “Superiore”). Che il Prosecco sia una forza economica è fuori discussione, ma quel quasi miliardo di bottiglie prodotte è il frutto di realtà eterogenee. Mettere tutto nello stesso calderone numerico-quantitavo, non rende giustizia né a chi punta all’eccellenza, né a chi quei vini concepisce come protagonisti di uno Spritz. Ancora una volta, a ben guardare il vero tratto distintivo delle vicende enoiche del Bel Paese, sembra contare solo la quantità. Parliamone certo, ma ricordando che, in una visione a medio-lungo termine, il valore di una bottiglia non si misura solo dai numeri del venduto, ma anche da quello che il mercato è disposto a pagare.
(fp)
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