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Radda in Chianti oggi come ieri

La sottozona di Radda in Chianti (già in possesso delle caratteristiche minime per tale investitura) sta vivendo un’unanimità di consensi con pochi eguali. Tutti meritati ed accresciuti da un clima tra i produttori dell’areale che ha a che fare più con una forma di “socialità enoica”, che con una semplice convergenza di interessi. Radda ha sempre recitato un ruolo significativo nelle vicende chiantigiane. Senza andare a scomodare la Lega del Chianti, fu proprio nel Palazzo del Podestà del paese in provincia di Siena che nel 1924 fu stipulato il primo patto tra i chiantigiani (prodromo al Consorzio di Tutela) in risposta al goffo tentativo del Governo di allora di difendere i vini tipici, senza considerare territorio e qualità del vino. “Dobbiamo tutti convenire” - tuonava Alberto Oliva - che esiste “la minaccia mercantile costituita dall’inarrestabile dilatazione delle aree vitate in Toscana, specie dove in generale la coltivazione risulta meno costosa e dove si pretende di chiamare tutto il vino Chianti, riversando sul mercato una grande massa di prodotto con questo nome”. E ancora: “La sempre più diffusa trasformazione del nome Chianti - sottolineava Oliva - in una denominazione generalizzata, sotto la quale vengono smerciati, in Italia e nel mondo, più o meno tutti i vini rossi che sono prodotti nelle campagne toscane e, talvolta, in quelle delle regioni limitrofe, impedisce di edificare il contesto economico sul quale appoggiare lo sviluppo commerciale presente e futuro di questa zona”. Tutto oggi è più complicato, ma il problema resta. Con altri strumenti, già sul tappeto, bisogna risolverlo. Partendo, come sempre, da Radda. (le citazioni arrivano dal libro “Un Gallo Nero che ha fatto la Storia” di Mino Cavalli, Consorzio del Marchio Storico Chianti Classico 1999).

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