La tenuta è a Montecarotto, al cuore della denominazione. Ed è la materializzazione di un sogno (quello della famiglia Paolucci, con i figli Mirco e Giusi a pieno titolo in organico, e Sergio a disegnare i vini prodotti). È un mosaico di 24 ettari di vigneti, e la terra che ispira il nome dell’azienda e del suo Verdicchio è una striscia prevalentemente sabbiosa, appunto, a quasi 350 metri sul livello del mare. Il regime di lavorazione è orientato al biologico, con lavori in vigneto decisamente sartoriali, conclusi da una vendemmia manuale con raccolta in cassetta. L’espressione di questo Jesi, frutto di una singola vigna (sotto c’è sabbia, come si diceva, e poi limo e argilla) impressiona per la traccia sapida e compatta (la parola “minerale” qui davvero non è abusata) che rilascia lentamente, infusa in un succo elegante e pieno, capace di restare però sempre fresco e di piacevolissima beva. Un Superiore di classe, che spiazza per completezza e per il livello attinto a dispetto di un’annata tutt’altro che semplice da affrontare. E rappresenta il nuovo passo in avanti di un marchio che si propone deciso a proscenio.
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