Giro d’affari da 200 milioni di euro, nel 2018, a Montalcino, costituito da 9 milioni di bottiglie di Brunello e 4,5 di Rosso, proveniente dagli oltre 2.000 ettari coltivati a Sangiovese. Prezzo per un ettaro di vigneto a Brunello che sfiora anche i 900.000 euro, valore del Brunello sfuso stabilmente oltre i 1.000 euro al quintale. Numeri che rivelano un territorio in salute, forse uno dei più sani del Bel Paese, tra quelli a vocazione rossista. Un vino di successo, insomma, che piace molto fuori dai confini (70% il dato dell’export) e che spunta prezzi a bottiglia di tutto rispetto, pur restando competitivo tra i grandi rossi mondiali. Ma da dove arrivano questi numeri? La storia del Brunello non è plurisecolare, a metà Ottocento era un rosso toscano né peggiore né migliore degli altri. Ma qualcuno al Greppo (i Biondi Santi) pensò ad una semplice quanto geniale diversificazione: addio alla ricetta di Ricasoli e spazio al Sangiovese in purezza. La mano di Dio ha dato un aiuto, perché il clima di Montalcino è, cambiamenti climatici permettendo, particolare come nel resto dei luoghi vocati di questa Terra, ma a restare protagonisti sono stati gli uomini: montalcinesi, toscani, stranieri o di altre regioni d’Italia, tutti a contribuire ad una storia breve ma intensa. Una storia anche amara - 10 anni fa Brunellopoli - ma che alla fine non ha intaccato una cavalcata rara e, se pure dentro contraddizioni, dialettiche e qualche scontro, ha portato un Paese di boscaioli nella vetta del mondo, almeno di quello enoico.
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