I suoli che caratterizzano i vigneti del Verdicchio - nelle colline marchigiane che guardano il mare a matrice argillosa e dai depositi marini con clima mediterraneo da una parte, nell’entroterra, ad altitudini maggiori, a matrice calcareo-marnosa e clima montano dall’altro - rivelano un terroir ideale per la produzione bianchista. Qui si inseriscono le due denominazioni capisaldi: Jesi e Matelica, la prima situata nei pressi del bacino del fiume Esino, a una trentina di chilometri dal mare, la seconda nell’altipiano centrale della regione. Questo in sintesi l’habitat del Verdicchio. Un vitigno, il cui nome rimanda inequivocabilmente al colore del suo acino, e che recenti studi genetici hanno legato al Trebbiano di Soave (o Trebbiano di Lugana o Turbiana), ipotizzando un suo arrivo nelle Marche, nel Quattrocento, ad opera di coloni veneti arrivati qui a causa della peste. Coltivato quasi esclusivamente nelle Marche, il Verdicchio è diffuso anche in altre zone dell’Umbria e dell’Abruzzo, tuttavia, al di fuori della sua Regione di riferimento, il vitigno tende a perdere in gran parte il suo contenuto qualitativo. Con l’attuale crescita dei consumi bianchisti, Le Marche e i suoi Verdicchio, nelle sue due declinazioni di Jesi e di Matelica, ha a portata di mano la sua occasione epocale, se colta con atteggiamenti virtuosi di trasparenza e unità, forte di una regione dalle ricchezza enogastronomica caleidoscopica. Un compito che i produttori stanno affrontando con l’adeguato impegno, mostrando anche, con confortante continuità, un livello qualitativo lusinghiero come abbiamo rilevato nelle nostre precedenti monografie (2018 - 2019 - 2020 - 2021 - 2022 - 2023), con molte realtà che meriterebbero di stare nell’ultima edizione: da Tenuta dell’Ugolino a Podere L’Infinito, da Garofoli a Marotti Campi, da Tombolini a Cimarelli e Brocani, da Casal Farneto a Moncaro, che troverete a breve nella newsletter “I Vini di WineNews”.
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