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EDITORIALE

Tempi nuovi. Anche per Montalcino

Resta in questo mondo che cambia (e con lui anche il vino) il giudizio della critica che, magari non mettendo d’accordo tutti, continua ad avere il suo peso, soprattutto commerciale. Bisogna ammettere però che si tratta di un meccanismo liso, benché ben resista tra un vecchio che ormai non c’è più ed un nuovo che stenta ad emergere. Un contesto suggerito anche dall’articolo “It’s Time to Rethink Wine Criticism” (New York Times 17/6/2019) in cui Eric Asimov scrive: “è tempo di riesaminare la natura della critica enologica americana, una metodologia che il signor Parker ha aiutato sia a rendere popolare che ad istituzionalizzare. Ed è tempo di prendere in considerazione un modello migliore che sia più utile per i consumatori, un sistema che li autorizzi a fare le proprie scelte piuttosto che a legarli all'infinito alle recensioni dei critici”. Si trova in questa congiuntura l’annata 2015 del Brunello, dagli accenti innegabilmente caldi, che è più da leggere tra chiaro-scuri che secondo la direzione determinata (o “predeterminata”) della grande annata. Per carità, non stiamo parlando certo di un millesimo scarso, ma neppure di un’annata cristallina come la 1999 o la 2010. Potrebbe somigliare alla 2001 o alla 2006, confermando, appunto, che non si tratta di una annata “piccola”, ma nemmeno così grande. Il giudizio non è definitivo, naturalmente. Prima di tutto perché abbiamo assaggiato soltanto una parte delle aziende (circa un'ottantina) e poi perché, diciamolo chiaramente, ci piacciono i Sangiovese più sussurrati che forzuti. Ma una cosa ci ha colpito. Un segno di discontinuità stilistica in molte etichette che non ci saremmo aspettati.

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