“Che c’è in un nome?” chiedeva il buon Shakespeare. In un nome può esserci, se è quello giusto, il senso d’un destino. È la tesi di Bollinger, che ha chiamato R.D. (cioè: sboccato di recente) il suo vino icona. Il vangelo di casa è che una lunga sosta sui lieviti seguita da sboccatura tempestiva rispetto al rilascio esalti lo Champagne. Per (ri)provarlo anche col 2007 - annata poco allineata, oggetto di moderate attese iniziali ma sbocciata poi per via e madre d’un R.D. forse atipico, ma di gran personalità – la maison co-campione d’assaggio del deb di lusso ha proposto nel test anche due versioni del 1976: una degorgiata sei anni prima dell’altra, e 37 e 43 anni di lieviti. Entrambe commoventi. Ma con differenze di freschezza e incisività così nette da far teorema. Quanto allo “007” (alla casa piace ricordare l’amore di James Bond per Bollinger) figlio di vigne eco-certificate, no SO2 aggiunta in sboccatura, fermentato in barrique e tonneau “neutri”, deriva da vigne al 91% Grand Cru, col Pinot Nero (70% contro 30% di Chardonnay) di Verzenay, più fresco e slanciato, a prevalere stavolta su quello di Ay. Il vino, pieno e luminoso, ha spuma delicata e approccio incisivo e singolare al naso, che sulla nota cremosa e fruttata d’avvio innesta una panoplia speziata pirotecnica, perfetto viatico per pairing “esotici”. Il finale, teso e vibrante, sfuma in fini nuance di mandorla fresca.
(Antonio Paolini)
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