I nomi top di Montalcino (e sono molti più di quanti qui citati) sono brand ormai planetari, tra i più quotati in aste e ricercati da collezionisti, che competono da tempo con i grandi vini del mondo. Dalla storica Tenuta Greppo di Biondi Santi, dove il Brunello è nato nell’Ottocento, alla griffe Poggio di Sotto, da Costanti a Casanova di Neri, fino a Soldera Case Basse, sono tra i brand più cresciuti nella recente “Power 100 Liv-Ex”, piattaforma di riferimento del mercato dei fine wine. Ma anche Il Poggione, cantina storica della famiglia Franceschi, è tra i 100 più cercati, secondo Wine-Searcher. Nelle aste, poi, Case Basse della famiglia Soldera (in uscita con il 2015, già recensito da Winenews) e Biondi Santi (in uscita con Riserva 2015 a marzo, prossimamente sulla newsletter settimanale) sono ormai due vere “blue chips” che giocano la “Champions League”. O Il Marroneto, da anni in vetta ai giudizi della critica e di grande appeal nel collezionismo. Ma, con “Vigne” e “Riserve”, sono tante le cantine che, grazie anche a ottimi commenti e classifiche (la “Top 100 Wine Spectator 2020” ha messo due Brunello 2015 ai vertici: Le Lucere di San Filippo, miglior italiano al n. 3, e Caprili al n. 16), stanno avendo un posto di primo piano nel mondo. Tutto questo è Montalcino, senza però dimenticare la “grande opera” imprenditoriale di Castello Banfi (Poggio alle Mura è volutamente in foto di copertina), grazie a cui forse tutto questo oggi non sarebbe possibile. Con quel che ne consegue, in termini di economia reale, valori, occupazione, benessere ed enoturismo (ricordando che nel Dopoguerra Montalcino era uno dei territori più poveri e spopolati del Senese). Un vero miracolo. (ar)
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