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EDITORIALE

Al Brunellissimo manca qualcosa

Giro d’affari da 180 milioni di euro, nel 2017, a Montalcino, costituito da 9 milioni di bottiglie di Brunello e 4,6 di Rosso, proveniente dagli oltre 2.000 ettari coltivati a Sangiovese. Prezzo per un ettaro di vigneto a Brunello che sfiora i 400.000 euro, valore del Brunello sfuso stabilmente oltre i 1.000 euro al quintale. Numeri che rivelano un territorio in salute, forse uno dei più sani del Bel Paese, tra quelli a vocazione rossista. Un vino di successo, insomma, che piace molto fuori dai confini (70% il dato dell’export) e che spunta prezzi a bottiglia di tutto rispetto, pur restando competitivo tra i grandi rossi mondiali. Ci limitiamo a registrare questa situazione, i commenti sarebbero forse superflui. L’unica cosa che può far discutere è legata alla qualità dell’ultima annata: la 2013. Da quattro stelle per il Consorzio, decisamente da cinque per la maggioranza della critica. Non stiamo parlando di un millesimo di quelli che si “fanno da sé”, non ne esistono in realtà, evidentemente. Si tratta, come sempre, peraltro, del paziente incrocio fra l’esperienza dell’uomo e le potenzialità pedoclimatiche del territorio. Elementi che dovevano (e lo hanno fatto) raggiungere un equilibrio per far emergere le migliori caratteristiche dell’annata e per assicurare ai vini carattere, eleganza e potenziale di invecchiamento. Si tratta di considerazioni elementari, che ogni grande Terroir dovrebbe possedere come patrimonio acquisito, ma che a Montalcino spesso sono da ribadire, perché non basta produrre semplicemente Brunello. Ecco, quello che manca veramente a Montalcino è una consapevolezza e un agire da grande territorio viticolo.

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