Il Soave rappresenta una denominazione al passo con i tempi, o almeno gli ingredienti sembrerebbero essere tutti presenti. I bianchi del comprensorio scaligero si stanno giovando della ritrovata forza propulsiva della tipologia, un elemento favorevole non solo per le attuali dinamiche di mercato ma anche per l’andamento dei gusti e delle mode del bere vino a Nuovo Millennio ormai inoltrato. Ed è proprio qui che troviamo un altro carattere significativo: il Soave nel proprio “Manifesto programmatico” (che rimanda anche al bello dei suoi luoghi e all’essere “smart”, cioè abile a giocare la partita delle Unità Geografiche Aggiuntive, accanto all’inserimento nel Registro nazionale dei paesaggi rurali di Interesse storico ed al riconoscimento Giahs–Fao) parla esplicitamente del fatto che “I giovani di oggi sono i consumatori maturi (e affezionati) di domani. Per questo il Soave si prefigge di puntare alla mente, al cuore (e al palato) soprattutto di quei consumatori, tra i 30 e i 40 anni, che potenzialmente potrebbero innamorarsi del vino Soave, ma che ancora lo conoscono poco o nulla. Giovani non necessariamente esperti di vino, anzi, ma nell’insieme curiosi e alla ricerca di “cose buone e belle”, intercettati attraverso registri linguistici e comunicativi a loro più familiari: no a tecnicismi per addetti ai lavori, sì a messaggi chiari, semplici, di valore”. Un progetto dinamico, dunque, che poggia, evidentemente anche su una storicità ben fondata e numeri non proprio confidenziali: 7.000 ettari a Doc Soave, che insistono su 13 comuni ad est della provincia di Verona e 90 aziende associate al Consorzio di Tutela, per una produzione media di 47 milioni di bottiglie.
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