La Sicilia del vino sta facendo bene. A partire dagli anni Novanta è riuscita a fare rete in modi ancora oggi impensabili nella maggior parte delle regioni italiane: con Assovini ha valorizzato i vitigni siciliani, rendendo l’isola individuabile sulla mappa da milioni di eno-appassionati stranieri; con la Doc Sicilia ha creato le basi per aumentare la qualità del suo vino; con Fondazione SOStain ha generato un protocollo misurabile di sostenibilità ambientale. Ha, in sostanza, garantito stabilità e benessere a migliaia di persone che lavorano nel comparto vino e ha iniziato a ragionare seriamente sulla sua identità e sull’impatto del proprio sistema di produzione. Nel frattempo è diventato il vigneto biologico più grande d’Italia, e pure fra le mete turistiche più desiderate al mondo. Questo secondo fattore, strettamente legato al benessere - e quindi al cibo, all’arte, all’architettura e alla cultura in generale - spalma su tutta la regione un interesse importante e monetizzabile. La Sicilia del vino si trova di fronte ad un’occasione ghiotta: cavalcare l’attenzione dei viaggiatori per sviluppare il suo turismo eno-gastronomico, che contiene in sé gli elementi di una vacanza di alta gamma, perché propone ampi spazi, storia, natura, esperienze. Ma questa volta il mondo del vino può fare la differenza nel contribuire a distribuire benessere anche al di fuori del suo settore. Dopo essersi occupato della sostenibilità economica e ambientale dell’isola, oggi può puntare alla sostenibilità sociale: valorizzando le produzioni locali, definendo una sua certificazione di turismo sostenibile, indirizzando gli investitori verso uno sviluppo più equo, che coinvolga le comunità locali e perché no, i flussi di immigrati, che qui approdano in condizioni disumane e di cui l’Italia ha bisogno. Ecco una possibile nuova frontiera che ci auguriamo per la Sicilia del vino: sviluppare per prima e organicamente la terza colonna della sostenibilità, quella sociale.
(ns)
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