L’Amarone della Valpolicella, nonostante il periodo mondiale turbolento, si sta rivelando sempre più la “vena” d’oro di un territorio in cui il vino muove un giro d’affari di oltre 600 milioni di euro. Più della metà di questa cifra è mossa dalle performance dell’Amarone, le cui quotazioni vanno da 1.000 a 1.200 euro ad ettolitro, quando si parla di valori degli sfusi. Un “tesoro straordinario” che nasce da 8.600 ettari di vigna in 19 Comuni, tra la zona Classica, la Valpantena e la zona Doc Valpolicella, ed il cui valore nella Valpolicella Classica si aggira anche sui 500.000 euro ad ettaro. E dove oltre 2.400 aziende - sempre più guidate da giovani (secondo il Consorzio di Tutela della Valpolicella, in 10 anni, la crescita è stata quasi del 100%, e oggi sono ben 350) e sempre più eco-sostenibili (con gli odierni 2.873 ettari vitati green, su un totale di 8.586) hanno prodotto più di 67 milioni di bottiglie nel 2022, di cui 17,2 milioni solo di Amarone, quasi il 7% in più sulla media degli ultimi cinque anni. A questo si aggiunge il completamento del dossier per la presentazione della candidatura della “Tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella” a Patrimonio Immateriale dell’Unesco. Un obiettivo che, se sarà centrato, riconoscerà alla Valpolicella anche il primato di iscrizione di una pratica di vinificazione negli elenchi tutelati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Un tema, quello dell’appassimento, che sta anche diventando lo spazio per il dialogo e la riconciliazione della pluriennale disputa tra il Consorzio dei vini Valpolicella e le 13 Famiglie Storiche (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato), che, evidentemente auspichiamo.
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